Ormai, si sa, la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina rischia di avere ripercussioni a livello mondiale. Ma se state pensando alle forniture lungo la catena di distribuzione globale siete fuori strada. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature, la principale vittima dello scontro tra le due superpotenze potrebbe essere l’Amazzonia, la foresta pluviale tropicale che dal Brasile si estende in Colombia, Perù, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Guyana, Suriname e Guyana francese.
Infatti, ben 13 milioni di ettari di foresta e savana – un’area grande quanto la Grecia – verrebbero riconvertiti a uso agricolo se il Brasile e gli altri paesi esportatori dovesse decidere di approfittare delle tariffe del 25% imposte da Pechino per rimpiazzare le importazioni di soia americana, crollate del 50% lo scorso anno. Si parla di un deficit stimabile tra i 22,6 e i 37,6 milioni di tonnellate. Già alla fine del 2018, ben il 75% della soia acquistata da Pechino proveniva dal Brasile, dove i terreni tropicali poveri di nutrienti rendono molto difficile lo sviluppo di un’agricoltura intensiva e richiedono fertilizzanti in quantità quasi tre volte superiori a quelle utilizzate negli Stati Uniti e in Canada. Il modo più semplice per aumentare il raccolto consiste quindi nella coltivazione di nuove terre nell’area oggi ricoperta dalla foresta amazzonica e dalla savana di Cerrado, tra Brasile, Bolivia e Paraguay. Mantenendo il ritmo attuale, il Brasile avrebbe bisogno di 5,7 milioni di ettari di terra in più per soddisfare la domanda cinese sul lungo periodo, un aumento del 17,3% rispetto ai livelli attuali. Numeri che, stando alla ricerca, potrebbero tradursi in una riduzione della foresta amazzonica superiore ai 3 milioni di ettari l’anno registrati tra il 1995 e il 2004 (il periodo più critico per la deforestazione), con gravi conseguenze per le emissioni di biossido di carbonio.
“Questo caso di studio spiega perché sarà estremamente difficile per il mondo mantenere il riscaldamento entro gli 1,5°C [dai livelli preindustriali], come stabilito a Parigi. Ci stiamo muovendo nella direzione sbagliata “, avverte Peter Alexander, uno degli autori della ricerca nonché docente della Global Academy of Agriculture and Food Security presso l’Università di Edimburgo, “molte persone potrebbero non rendersi conto che una guerra commerciale tra due nazioni può influenzare l’utilizzo della terra in un paese terzo. Ma questa è una conseguenza non intenzionale che deriva dalle decisioni prese attraverso una complessa rete di interazioni in cui il cambiamento di una parte può influenzarne altre.”
Come spiega il Guardian, le barriere normative per arrestare la deforestazione sono già sotto pressione. Infatti, sebbene gran parte della foresta amazzonica sia oggi considerata riserva naturale e territorio indigeno, negli ultimi anni, tuttavia, le lobby agricole brasiliane hanno favorito un indebolimento delle politiche conservative. La prima legge approvata dal nuovo governo Bolsonaro ha tolto il controllo dei confini delle riserve alla Fondazione Nazionale per gli Indigeni, assegnandola al ministero dell’Agricoltura affidato a Tereza Cristina, leader della Bancada Ruralista: gruppo parlamentare che sostiene gli interessi delle lobby agricole. Tale mossa permetterà agli agricoltori di impossessarsi lecitamente di quelle terre che fino ad oggi erano state occupate abusivamente. L’aumento dei prezzi della soia costituisce un ulteriore incentivo a espandere la coltivazione nelle aree boschive.
Mentre i negoziati commerciali tra Cina e Stati Uniti potrebbero culminare in una rimozione dei dazi da ambo le parti (Pechino si è già impegnato a comperare 10 milioni di tonnellate di soia in più), lo studio sottolinea come le scelte dei consumatori in altre nazioni potrebbero avere a loro volta un impatto positivo anche soltanto riducendo la domanda globale di carne bovina e suina, considerato che la soia viene impiegata principalmente nella produzione di mangimi animali. Ma serve una vera e propria inversione a U. Infatti, se dal 2000 a oggi le importazioni cinesi di soia dagli Stati Uniti sono aumentate del 700%, quelle dal Brasile sono schizzate addirittura del 2.000%.
[Pubblicato su Il Fatto quotidiano online]Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.