Al secondo forum della Bri a Pechino, unico leader del G7, c’è anche Giuseppe Conte, fresco di firma di memorandum of understanding con la Cina. «L’Italia – ha detto il primo ministro italiano – non solo sta creando opportunità per sé ma per l’Europa intera: ci aspettiamo per questo anche maggiori investimenti cinesi in Italia».
Nel corso di un incontro con una rappresentanza della comunità italiana in Cina – definita «fra le più giovani che abbia incontrato fino ad ora» – presso l’ambasciata d’Italia nella capitale cinese, Conte ha poi sottolineato che l’Italia può ottenere grandi opportunità dall’adesione all’iniziativa cinese della Via della seta e, in riferimento alla questione delle infrastrutture tecnologiche (5G), ha ribadito che «saranno garantiti i massimi standard di sicurezza: l’Italia vuole essere presente, vuole accelerare ma entro le garanzie dell’Ue». Giusto, peccato non averci pensato o non averlo sottolineato a sufficienza prima di firmare un MoU nel quale le telecomunicazioni sono presenti.
Ma non solo, perché Conte ha specificato di aspettarsi più investimenti cinesi in Italia, pensando forse di avere firmato un accordo commerciale e non una serie di accordi, a latere del MoU, per un valore attuale di poco più di due miliardi (e alcuni dei quali, frutto di trattative già in atto da tempo).
Insomma, non solo la Cina sembra sentire l’esigenza di rassicurare un po’ tutti, come ha tentato di fare Xi Jinping nel suo discorso al forum Bri; pare – infatti – che anche Conte abbia bisogno di conferme, o rassicurazioni, circa il memorandum of understanding, firmato e venduto come un accordo commerciale da Roma, ma concepito fin da subito come politico da Pechino, tanto che Conte a Pechino è andato sostanzialmente da solo (con Rocco Casalino): non ci sono né il sottosegretario allo sviluppo Michele Geraci (uno degli artefici del recente riavvicinamento di Roma a Pechino) né seguito di imprenditori e aziende.
E tra il MoU e la visita a Pechino, il primo ministro ha “appoggiato” anche le iniziative commerciali con il Giappone. E naturalmente ha rassicurato più volte gli Usa. E l’Ue.
Nella giornata di ieri, oltre alla parentesi italiana, si è registrato anche l’intervento del presidente della Repubblica popolare, Xi Jinping.
Verde, sostenibile, trasparente, rispettosa, non predatoria: Xi Jinping utilizza il palcoscenico del secondo forum sulla Nuova via della seta per smorzare le polemiche e lo scetticismo sul progetto cinese, provando a dimostrare la consueta capacità camaleontica di fronte agli imprevisti.
Il suo discorso, più breve e non di poco di quello della ben più frizzante prima edizione del forum, ha toccato anche i temi relativi alla proprietà intellettuale e alla forza, o meno, della moneta nazionale lo yuan: si tratta di parole che sembrano più rivolte agli Stati uniti che non ai partner cinesi, che forse neanche avrebbero troppi problemi di fronte al consueto atteggiamento cinese. La questione è legata a una sorta di «sentimento» che Xi ha captato e che ha pensato bene di dissuadere.
In realtà potremmo aspettarci una Cina più sorniona nel futuro imminente, non tanto per condizioni particolarmente avverse (la Bri tutto sommato ha avuto alcuni progetti ridimensionati ma è un piano talmente ampio che qualche intoppo era previsto dalla stessa dirigenza cinese) quanto per un’attenzione maggiore che probabilmente Xi Jinping vuole porre all’interno: la questione dei dazi con gli Usa e la crescita economica (con la necessità di dedicare davvero risorse e tempo alle diseguaglianze che ancora esistono in Cina) richiedono un impegno diretto di Xi Jinping.
Non esiste un’opposizione al suo potere, così come non si registrano neanche clamorose contestazioni, ma i recenti «malumori» emersi dagli ambiti universitari hanno sicuramente consigliato il numero uno cinese a recuperare il controllo di quanto accade all’interno del paese; del resto la sua nuova spinta internazionale ha ottenuto tutta una serie di risultati e – soprattutto – ha cambiato la percezione di gran parte del mondo sull’attuale rilevanza globale della Cina.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.