“Un primo passo” verso la ripresa di scambi più frequenti. Così Kim Jong-un ha definito il suo viaggio in Russia – “il primo ma non l’ultimo” – appena sbarcato alla stazione di Khasan, appena passato il confine. Il treno blindato del leader nordcoreano è giunto a destinazione mercoledì alle 10,30, mentre l’arrivo a Vladivostok è avvenuto poco dopo le 18,00 ora locale a bordo dell’inconfondibile Mercedes S-Class.
Il programma di viaggio è ancora oggetto di speculazioni. Mentre il meeting ufficiale con Vladimir Putin è atteso per giovedì presso il campus della Far Eastern Federal University (FEFU), sull’isola di Russky, secondo NK News non è escluso che i due leader sfruttino una cena per avviare colloqui preliminari. Durante la sua permanenza, Kim visiterà i dintorni – compreso il quartier generale della Flotta del Pacifico – e prenderà parte ad alcuni eventi organizzati dalla FEFU. Il ritorno in patria è previsto per venerdì, mentre Putin si recherà in Cina giovedì sera per prendere parte al secondo forum sul progetto infrastrutturale Belt and Road, a cui parteciperà anche una delegazione nordcoreana.
“Credo che l’incontro con il vostro presidente sarà un’occasione per avere discussioni molto utili e scambiare opinioni su molte questioni, come la gestione e il mantenimento congiunto della stabilità regionale”, ha dichiarato il giovane leader a Russia24 appena sceso dal treno con il suo entourage che comprende, tra gli altri, il ministro e il viceministro degli Esteri Ri Yong Ho e Choe Son Hui. Per parte russa verrà data massima priorità al “problema nucleare”, ha chiarito il Cremlino.
E’ la prima volta dal 2011 che un leader del Nord visita il vecchio alleato, ovvero da quando Dmitry Medvedev incontrò il Caro leader Kim Jong-il. Fin dalla nascita della Repubblica popolare democratica di Corea, Mosca ha costituito un’importante sponda politica ed economica del regime nordcoreano fino agli anni 80′, quando l’Unione Sovietica ha avviato un percorso di riavvicinamento al Sud capitalista. Le relazioni bilaterali hanno vissuto una nuova fase distensiva a partire dagli anni 2000, quando all’inizio del suo primo mandato da presidente, Putin è diventato il primo leader russo a visitare Pyongyang. Da allora, tuttavia, le limitate possibilità economiche di Mosca hanno permesso alla Cina – cobelligerante nella Guerra di Corea – di imporsi come primo partner commerciale del Nord. Ma fare affidamento su un solo alleato è pericoloso, lo insegna anche il Juche, il principio dell’autosufficienza promosso da Kim Il-sung, nonno di Kim Jong-un e “presidente eterno”. E probabilmente non è un caso che questa volta sia la Russia e non la Cina la prima meta estera del leader nordcoreano dopo l’ultimo fallimentare incontro con Trump ad Hanoi.
La trasferta nel Far East russo si inserisce, dunque, in una controffensiva diplomatica volta a rafforzare la posizione di Pyongyang al tavolo delle trattative con gli Stati Uniti. Dal marzo 2018, Kim ha totalizzato quattro meeting con il presidente cinese Xi Jinping, tre con il presidente sudcoreano Moon Jae-in, due con Trump e uno con il presidente vietnamita Nguyễn Phú Trọng. Nonostante le buone intenzioni di Seul, finora il pressing diplomatico non ha portato in nessun caso a un allentamento del regime sanzionatorio imposto dalla comunità internazionale contro il programma nucleare nordcoreano, fiore all’occhiello della strategia della “massima pressione” sponsorizzata con alti e bassi da Washington. Diversi indizi smascherano una certa disinvoltura nell’applicazione delle restrizioni, tanto in Cina quanto in Russia, ed è probabile che la permanenza di Kim a Vladivostok venga sfruttata per ammorbidire ulteriormente Mosca, che con Pechino siede nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu in qualità di membro permanente.
Secondo quanto riferito a marzo dal Comitato per le sanzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU sulla Corea del Nord, entrambi i vecchi alleati hanno rimpatriato oltre la metà dei lavoratori nordcoreani presenti sul loro territorio (come richiesto da una risoluzione del dicembre 2017), privando Pyongyang di un’importante fonte di valuta estera.
Ma un riavvicinamento non giova solo al Nord. La Russia ha partecipato ai colloqui a sei (insieme a Cina, Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud) e la ripresa dei contatti con il regime di Kim rappresenta un fattore di prestigio per Mosca, emarginata dalla diplomazia occidentale dopo l’annessione della Crimea. Senza contare i possibili benefici economici. Da tempo, si parla di riunire la penisola coreana con una linea ferroviaria (da Khasan a Rason) e un gasdotto fortemente voluti da Seul per rilanciare gli scambi commerciali con l’Europa e attingere alle fonti energetiche russe. Secondo cifre calcolate dal partito d’opposizione Liberty Korea Party, il Sud dovrebbe pagare a Pyongyang quasi 200 milioni di dollari l’anno solo di pedaggio.
[Pubblicato su Il Fatto quotidiano online]Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.