La Cina sta sperimentando per la prima volta una contrazione della popolazione occupata. Lo rivela il censimento annuale pubblicato giovedì dall’Ufficio Nazionale di Statistica, secondo il quale alla fine del 2018, il numero delle persone impiegate è sceso a 776 milioni, un calo di 540.000 unità rispetto al 2017. Anche la popolazione in età lavorativa – ovvero quella di un’età compresa tra 16 e 59 anni – si è ridotta per il settimo anno consecutivo, riportando un’erosione del 2,8% tra il 2011 il 2018 a quota 897 milioni. Nello specifico, la porzione di età over 60 ha superato per la prima volta quella inferiore ai 15 anni. I numeri parlano chiaro: la popolazione cinese sta invecchiando rapidamente e nel momento meno adatto. Una contrazione della forza lavoro, infatti, spinge verso l’alto il costo del lavoro, mettendo sotto pressione l’economia nazionale già in difficoltà a causa del calo dei consumi e della guerra commerciale con Washington. Il futuro sarà la robotica?
Contrattacco Usa contro gli Istituti Confucio
La gestione degli Istituti Confucio negli Stati uniti deve cambiare, pena la loro chiusura. E’ quanto intimato da un rapporto redatto dal Permanent Subcommittee on Investigations, il ramo investigativo del Senato americano, dopo otto mesi di indagini. L’indagine – che riporta le preoccupazioni dell’FBI e del Dipartimento di Stato – sostiene che Pechino abbia elargito quasi 160 milioni di dollari alle scuole americane, spesso mantenendo un controllo totale sulla gestione dei fondi e dello staff così come sulla scelta dei programmi, che hanno lo scopo di esaltare la cultura cinese tralasciandone ogni criticità. Mentre nulla parrebbe provare l’organizzazione di attività di spionaggio, l’inchiesta evidenzia irregolarità nell’ottenimento dei visti per i dipendenti e una scarsa trasparenza nella gestione. La Cina viene inoltre accusata di mancanza di reciprocità. Proprio a ottobre gli Stati Uniti hanno rinunciato a finanziare un programma culturale parallelo nei campus cinesi dopo che le autorità ne hanno ostacolato le attività. Quello del Senato rappresenta a oggi l’attacco più duro e coordinato lanciato da Washington contro gli Istituti cinesi.
Crediti sociali: mezzo villaggio cinese finisce per “errore” sulla blacklist
Ben 200 persone, circa la metà degli abitanti del villaggio di Zhangyinzhuang, si sono ritrovate inserite nella blacklist governativa per la mancata restituzione di un presunto prestito da 100 million di yuan (US$15 million) mai richiesto. La banca centrale ha informato i cittadini che l’infrazione è già costata loro la perdita di tutti i crediti sociali, il sistema che determina l’accesso ai servizi sulla base della buona o della cattiva condotta. Secondo fonti del Beijing News, i soggetti coinvolti sarebbero stati indotti con l’inganno a firmare un modulo di richiesta mentre si erano recati in banca semplicemente per offrire la propria garanzia al prestito di amici e parenti. La polizia sta indagando e uno dei manager della Liaocheng Runchang Agricultural Commercial Bank è stato licenziato. Il caso evidenzia i temuti rischi del sistema dei crediti sociali.
Tutti i plagi del Politburo
Sette dei 25 potenti del Politburo possono vantarsi di aver concluso la loro carriera accademica con un dottorato di ricerca. Molti tuttavia parrebbero averlo ottenuto giocando sporco. Secondo il FT, dieci progetti di ricerca realizzati dai leader cinesi e disponibili online presentano interi capitoli copiati alla lettera da precedenti studi, senza che venga citata la fonte. Tra i bari ci sarebbe Chen Quanguo, segretario del partito del Xinjiang, uno dei principali responsabili del giro di vite contro la minoranza uigura, nella cui tesi di dottorato compaiono ben 13 capitoli trafugati. Quello dei plagi accademici è un problema molto sentito in Cina, dove le promozioni dei funzionari dipendono anche dal percorso di studi. E il fatto che le università siano controllate dal partito comunista certo non aiuta.
La lenta scalata ai veicoli a guida autonoma
Mentre il primato cinese nei veicoli elettrici è ormai cosa nota, meno si sa dello sviluppo di veicoli a guida autonoma (AV) in Cina. Nel settore automobilistico sono in atto cambiamenti epocali e la Cina certo non vuole rimanere fuori da un business che promette di toccare un valore di 2.3 trilioni di dollari entro il 2030. Anche se arrivata tardi rispetto ad altri paesi nello sviluppo di veicoli a guida autonoma, la Cina sta recuperando il tempo perso, procedendo in maniera sistemica: da una parte forti investimenti nelle tecnologie necessarie per stare dietro ai grandi player globali, dall’altra la preparazione a livello governativo di una cornice legislativa e regolatoria adeguata. Già menzionato nel piano di sviluppo dell’Intelligenza Artificiale redatto nel 2017, il tema degli AV è considerato un traguardo cui puntare. E mentre i lavori a livello di governo centrale procedono, i primi test stanno avvenendo, prima Pechino, poi Shanghai, le grandi municipalità hanno ingaggiato una gara per chi svilupperà prima un sistema integrato di veicoli a guida autonoma.
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Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.