L’uguaglianza di genere fa un altro passo indietro
La Cina arretra ancora sull’uguaglianza di genere. Secondo il rapporto annuale del World Economic Forum, nel 2018 il gigante asiatico si è posizionato al 103esimo posto su 149, peggio del 2017 quando era arrivato 100esimo su 144. E’ il quinto anno di fila che la Cina riporta un peggioramento. Il divario maggiore rispetto alla media globale continua ad essere rilevato nel mondo della politica, dove spicca la carenza di donne in parlamento e nelle posizioni ministeriali. Piccoli miglioramenti invece nelle professioni tecniche e nel terziario. Mentre l’involuzione cinese è da attribuire parzialmente ai progressi registrati dagli altri paesi, la tradizione confuciana-patriarcale continua a rappresentare un ostacolo per l’emancipazione femminile in varie parti del paese. Tutt’oggi, oltre la Muraglia, lo squilibrio di genere alla nascita è uno dei peggiori al mondo.
Germogli di femminismo sbocciano
Nella Cina di oggi il gap di genere tra uomini e donne è sempre più marcato. L’ascesa economica dell’Impero di Mezzo porta alla luce un fenomeno che sembrava appartenere al passato. Se ai tempi di Mao il governo cinese riteneva che l’emancipazione femminile dipendesse dall’indipendenza economica, molti anni dopo la realtà avrebbe dimostrato che no, l’economia non era tutto. Nella realtà le donne sono ancora vittime di discriminazioni: dalle diseguaglianze d’istruzione, fino al reddito sul posto di lavoro e alle discriminazioni per l’accesso al sistema sanitario e al welfare. Eppure nel 1912 le suffragette cinesi invasero l’allora Parlamento per chiedere il diritto di voto, mentre sette anni più tardi avrebbero ispirato il Movimento del 4 maggio, e quindi concetti come l’uguaglianza dei sessi, lo stop alla poligamia e di matrimoni combinati. Nel 1950 fu approvata una legge sul matrimonio, che aboliva la figura del capo famiglia e consentiva alle mogli di mantenere il loro nome da nubili e lasciare la propria eredità ai figli. Tra gli anni ’80 e ’90 in Cina fanno capolino le prime Ong “rosa” a sostegno della parità di genere. Il loro scopo è far rispettare i diritti umani, con un occhio di riguardo per la situazione femminile. Le stesse organizzazioni vengono invitate a prender parte a consultazioni su negoziati rilevanti, segno che anche il Partito si interessa alla questione. Ma per compiere l’ultimo passo è necessario che i principi di parità e uguaglianza di genere citati dalla legge diventino concreti.
Donne, religione e società civile
Donne e religione, due concetti che in Cina offrono diversi spunti di riflessione. Pechino ha sempre garantito la libertà di religione come previsto dall’articolo 36 della Costituzione cinese, eppure negli ultimi anni non si è esitato a utilizzare il pugno duro per reprimere le varie comunità religiose. Il motivo? Il mantenimento dell’armonia sociale. Ma in mezzo alla crescente esigenza della sfera spirituale e al consolidamento di una società civile, aumentano il numero delle praticanti e leader religiosi femminili. Recentemente è stato alimentato un dibattito che poggia su un interrogativo: la religione è una forza oppressiva o rappresenta per le donne l’opportunità di ritagliarsi un posto nella cultura tradizionale? In ogni caso, a partire dagli anni ’80, si sono rafforzate le moschee e scuole coraniche femminili, ma anche i conventi cattolici destinati alle suore. Avere una voce spirituale conta, soprattutto per diminuire il divario di genere ancora significativo in Cina.
Atenei e questione femminile
Se sei una donna cinese e vuoi proseguire i tuoi studi universitari in ambito accademico, in Cina non avrai vita facile. Nella concezione tradizionale, non ancora del tutto a, il ruolo della donna nella società è oscurato dalla presenza maschile. Anche il mondo dell’istruzione secondaria non è rimasto immune a simili paradigmi, nonostante gli atenei del Dragone abbiano introdotto quote rosa per limare il gap di genere. Il 1999 può essere considerato uno spartiacque, perché da qui in poi il settore educativo della Cina ha visto una notevole crescita del personale accademico, e di riflesso una maggiore partecipazione femminile. Ma negli atenei resta in piedi una struttura gerarchica che penalizza fortemente il ruolo della donna. Per via di comuni stereotipi, le donne che intendono proseguire una carriera accademica devono conciliare la loro posizione professionale con le loro attività familiari. Emblematico è il caso della Beijing’s People’s Police University, università che forma poliziotti e che ha limitato le quote rosa al 10-15%. La spiegazione lascia basiti. I cinesi si aspettano di trovare in servizio un poliziotto maschio, quindi perché consentire alle donne di accedere alla facoltà se al termine della laurea resterebbero senza lavoro?
Le imprenditrici del piacere
Un sex toy capace di offrire la completa esperienza sensoriale di un orgasmo in 4D. A pubblicizzare il giocattolo erotico è stata Zhang Xiaoyu, la modella di nudo più famosa della Cina. In un paese dove pubblicizzare i prodotti sessuali – salvo i preservativi – è severamente proibito in Tv, su radio e carta stampata, ci sono sempre più donne che hanno deciso di fare affari con il mondo del sesso. I siti web sono, almeno entro certi limiti, immuni alla mannaia di Pechino. Ecco perché sempre più business woman si sono gettate nella compravendita di giocattoli erotici su piattaforme online. Ma la vera novità è che a sponsorizzare i sex toys non sono più soltanto le star giapponesi, bensì le celebrità nazionali. Le imprenditrici del piacere iniziano la loro lunga marcia.
La prostituzione e il Dragone
Nel 2014, Dongguan, città di circa 10 milioni di abitanti situata sul delta del Fiume delle Perle, dichiara guerra alla prostituzione, un settore che allora impiegava il 10% della popolazione migrante locale. A distanza di cinque anni, tuttavia, il problema a livello nazionale resta dato che secondo gli ultimi dati affidabili in Cina ci sarebbero tra i 3 e i 10 milioni di lavoratrici del piacere, il 90% delle quali portatrice di malattie veneree. La causa? Problemi economici. Le donne, non riuscendo a sbarcare il lunario, si spostano dalle campagne alla città nel tentativo di incrementare il salario. A farne le spese è sempre il gentil sesso, e non chi lucra su questo settore sempre più allettante. Le donne vengono arrestate, recluse in centri detentivi senza un processo e condannate a pene che vanno dai 6 mesi ai 2 anni.
La lunga marcia delle scienziate cinesi
Per garantire un’incisiva presenza delle donne nei settori scientifici e tecnologici, la Cina si è impegnata a raggiungere le quote rosa del 35% nell’arco del decennio 2010-2020. Oltre Muraglia la scienza e la tecnologia sono soliti essere appannaggio maschile. Fino a poco tempo fa era difficile immaginare una donna rivestire ruoli chiave all’interno di laboratori di ricerca nazionali. Eppure con l’Outline for the Development of Chinese Women, Pechino si è impegnato a invertire il trend. Uomini e donne hanno praticamente le stesse possibilità di ottenere un dottorato in materie scientifiche, ma di fatto le studentesse cinesi si trovano in difficoltà. Alla donna sono infatti richiesti doveri familiari che limitano un percorso professionale e accademico che è totalizzante. Le recenti missioni di astronaute e l’ascesa di importanti scienziate fanno ben sperare per il futuro. Ma la strada da fare è ancora lunga e piena di ostacoli.
La maternità oltre la Muraglia
Ogni anno il numero di donne non sposate che decidono di avere un figlio aumenta dal 10 al 13%. Se approfondiamo l’indagine vengono a galla dati interessanti. A restare incinta “accidentalmente” sono nell’80% dei casi donne immigrate in cerca di lavoro. La pressione sociale – oltre che le beghe legali – per queste donne è elevatissima. I futuri nascituri, tra le altre cose, non potranno infatti essere iscritti all’asilo nido e avranno spese mediche piuttosto elevate. Questo perché secondo la legge cinese i bambini nati fuori dal matrimonio non godono di alcuna tutela giuridica. Le madri non sposate cercano di aiutarsi l’una con l’altra affidandosi al web. Già, perché queste donne devono fare i conti anche con le critiche sociali. In Cina avere un bambino al di fuori del matrimonio è infatti una costante origine di pettegolezzi e gossip. La maternità oltre la Muraglia resta un arduo lavoro da compiere.
“Sister Furong”: la bruttina che piace
La storia di Shi Hengxia è un monito per tutti coloro che in Cina intendono lottare fino alla fine nel tentativo di perseguire i propri obiettivi. E’ la storia di una ragazza di umili origini che una decina di anni fa ha percorso oltre 1100 chilometri per raggiungere Pechino dal suo piccolo villaggio dello Shaanxi. Shi voleva ottenere una laurea specialistica, ma è stata rifiutata da tre atenei. La fortuna ha comunque baciato Furong, diventata famosa come star di internet. Nel 2005 è diventata un fenomeno nazionale ed è stata soprannominata Sister Furong, cioè Sorella Loto. Non sono tuttavia mancate le critiche, perché Shi, per arrivare dove si trova adesso, ha perso 15 chili. Tutta colpa dei pregiudizi sociali di cui è vittima la figura femminile. La donna, in Cina, è spesso giudicata per la sua apparenza piuttosto che per la personalità. Serve, dunque, un minuzioso lavoro sociale per invertire il trend.
Il corpo delle donne
In Cina il canone di bellezza si è invertito rispetto al passato. Colpa dell’influenza occidentale, che con i suoi valori e stili di vita ha piantato un seme, fino a pochi anni fa estraneo alla società cinese. I maschi cinesi sono frustrati per la loro scarsa altezza e una struttura fisica troppo gracile; le donne per il peso, vita, fianchi e cosce. La tradizione cinese è ben diversa, visto che l’estetica del Dragone si è da sempre concentrata su sopracciglia, occhi, orecchie, naso e bocca. Le donne perseguono oggi una magrezza che era una volta sinonimo di povertà e malattia. I modelli proposti da media e programmi televisivi non aiutano certo a limitare una tendenza sempre più pericolosa.
Donne e potere
Quanto spazio c’è in Cina per le donne in politica e, più in generale, nel mondo del potere? Non molto a dire il vero. Se il boom economico ha portato un elevato numero di imprenditrici femminili a far parlare di sé, lo stesso non può dirsi per la presenza femminile nei ruoli decisionali. Le donne nel Partito Comunista Cinese restano poche. La loro presenza é irrisoria se parliamo di istituzioni ancora più importanti come il Politburo. L’unica donna a ricoprire una posizione di vertice tra i nuovi 25 volti del Politburo è Sun Chunlan. L’eccezione è la first lady del Presidente Xi Jinping, Peng Liyuan, cantante patriottica, che tuttavia non riveste ruoli istituzionali o politici. Il gentil sesso si aspetta una rivoluzione rosa. Arriverà mai?
Cosa c’è dietro il boom delle imprenditrici cinesi
La Cina sarebbe più avanti della Silicon Valley per la presenza di donne ai vertici di startup e imprese hi-tech. Ed è il Paese con il maggior numero di miliardari femminili selfmade. Ma i dati di Pechino non convincono. O comunque raccontano solo parte della storia. Il magazine online Technode, ad esempio, in un articolo del marzo 2018 dal titolo “Bugie e statistiche: quante donne cinesi sono effettivamente nel settore tecnologico?” ha messo in discussione la tesi utilizzata in seguito da Asia Nikkei Review partendo da una considerazione: dei dati forniti dalle autorità cinesi non ci si può fidare.
Aumentano i divorzi per volere delle mogli
In Cina sempre più matrimoni falliscono per volere delle mogli ma contro la volontà delle autorità. Secondo un recente rapporto della Corte suprema del popolo, il 70% delle circa 3 milioni di dispute matrimoniali sono state avviate dalle mogli, di cui il 70% per incompatibilità di coppia. Ma nel 66% dei casi il tribunale ha respinto la richiesta di divorzio. Il fatto è che nei dieci anni intercorsi tra il 2006 e il 2016 il numero dei matrimoni falliti è raddoppiato passando da 1,5 a 3 su 1000. Un trend che se da una parte sottolinea la crescente emancipazione femminile, dall’altra va contro l’idea propugnata dal governo cinese di famiglia armoniosa come rappresentazione miniaturizzata della società cinese di stampo confuciano. Nel 2017, diversi tribunali hanno imposto alle coppie un periodo tra i tre e sei mesi di “mediazione” prima di poter procedere attraverso canali legali.
In Cina #METOO sfida la censura
Il #metoo ha ormai preso piede in tutti i continenti, Asia compresa. Anche in Cina le donne hanno detto basta e si sono ribellate alla disuguaglianza di genere, o peggio alle diffuse discriminazioni. La battaglia principale è quella contro gli abusi sessuali, mentre l’hashtag di riferimento sui social network è #woYeShi, niente meno che un #metoo con “caratteristiche cinesi”. Tutto è iniziato grazie al coraggio di Luo Xixi, una ex studentessa della Beihang University che, pubblicando una lettera aperta su Weibo, ha accusato il suo tutor Chen Xiaohu di molestie risalenti a 13 anni prima. Dietro alla voce di Luo si sono unite in coro tante altre ragazze, vittime di situazioni simili nel mondo accademico o lavorativo. Il grido unanime delle donne cinesi è uno: “Se abbiamo subito delle molestie dobbiamo reagire e dire no”. Il governo come ha reagito? In un primo momento ha tollerato le proteste, salvo poi passare alla repressione di messaggi sul web e petizioni online. Non aiuta inoltre un antico lascito della tradizione confuciana, secondo cui gli insegnanti sarebbero da considerare alla stregua di genitori. Per questo le studentesse difficilmente accusano i loro maestri. Il #metoo è dunque approdato anche in Cina, ma la portata del fenomeno è circoscritta rispetto a quanto avvenuto in altri Stati.
Cina, #METOO arriva in tribunale
Dopo essere approdato in Cina e aver invaso siti web e social network, il #Metoo è arrivato in tribunale. Un primo, piccolo, grande passo per le donne cinesi desiderose di combattere per difendere i propri diritti? La risonanza mondiale continua a crescere ma se approfondiamo il caso notiamo diverse contraddizioni. Tutto si deve all’identità del presunto assalitore di una 23enne: un famoso conduttore dell’emittente statale Cctv, Zhu Jun. Il tribunale ha infatti informato la ragazza che dovrà rispondere delle accuse di “danneggiamento della reputazione e del benessere mentale sollevate dal presentatore”. In Cina, inoltre, non esiste ancora una legge specifica sulle violenze sessuali, e neppure c’è una definizione capace di descrivere il suddetto reato. Di conseguenza, anche se le vittime denunciano le aggressioni, rischiano di passare dalla parte del torto.