Dopo un’improvvisa accelerazione a capodanno, si è tornati a parlare del prossimo incontro tra Kim Jong-un e Donald Trump dopo quello del giugno scorso a Singapore. Proprio ieri è stato annunciato un nuovo incontro tra le due delegazioni. Secondo Politico il summit tra i presidenti avverrà alla fine del mese di febbraio a Panmunjom (mentre Pyongyang preferirebbe il Vietnam come location). Abbiamo chiesto ad Antonio Fiori, esperto di Coree e professore associato di storia e istituzioni dell’Asia a Bologna e a adjunct professor presso la Korea University di Seul (nonché autore de «Il Nido del Falco» (2016, Le Monnier) testo imprescindibile per la conoscenza dell’attuale Corea del Nord) quanto potrebbe accadere tra Usa e Corea del Nord e più in generale qual è l’attuale situazione nella penisola coreana.
Possiamo aspettarci qualcosa di meno mediatico e più pratico da un eventuale secondo summit?
L’incontro dovrebbe esserci, Kim Yong-chol del resto non è uno che si muove per niente; è il vice presidente del comitato centrale, arriva da una carriera all’interno dell’intelligence nordcoreana, è un personaggio chiave a Pyongyang e di recente ha incontrato Pompeo. Il problema vero è che non si sa che cosa avverrà. Gli scenari potrebbero essere i seguenti: il primo potrebbe vedere Kim accettare quanto Trump gli chiede di fare e quindi Pyongyang potrebbe prendere in considerazione la possibilità di dare agli Usa la lista di siti e di armamenti nucleari oppure potrebbe fornire delle concessioni. Tutto questo nella speranza di ammorbidimento delle sanzioni. Questo scenario non pare credibile nell’immediato. Il secondo scenario invece potrebbe offrire una copia carbone dell’incontro di Singapore: nessun risultato sostanziale però si va avanti a negoziare qualcosa che non avverrà. La terza possibilità è che il summit fallisca. Oggi questa ipotesi non sembra ipotizzabile mentre la possibilità di un incontro che sia solo un modo per rimandare decisioni importanti potrebbe essere possibile.
Che segnali arrivano dalla Corea del Nord a livello interno? Kim ha sottolineato nei suoi ultimi discorsi una rinnovata attenzione all’economia locale.
Dal punto di vista della cooperazione con i sudcoreani le cose stanno andando benissimo, ci sono tutte le prerogative perché questa collaborazione continui anche nei prossimi mesi. Forse però è meno soddisfacente dal punto di vista degli americani.
In tutto questo continua a sussistere una nota strategica da parte di Kim: per sfibrare l’asse Seul-Washington la cooperazione con Moon è positiva perché se tutto crolla con gli Usa, Kim può puntare su Seul, Pechino e Mosca.
Ovviamente in questo scenario non si può dire che Trump non ci stia mettendo del suo, basti pensare alle polemiche e alle richieste di pagamento dei costi della sicurezza Usa in Corea del Sud che stanno provocando molti malumori a Seul. Il discorso di apertura d’anno di Kim è stato importante ma dal punto di vista economico ha fatto le consuete promesse. All’orizzonte non ci sono riforme importanti. Si prevedono interventi economici mirati, ma c’è un elemento aggiuntivo: Kim ha lasciato intravedere che ci saranno investimenti stranieri e quindi un maggiore aggancio commerciale – seppure controllato – con l’esterno. Ha lasciato passare l’idea secondo cui Seul può essere un aiuto sostanziale. L’autostrada, le ferrovie e addirittura la riapertura di Kaesong. È ovvio che niente di tutto ciò può avvenire se prima non vengono tolte parte delle sanzioni.
Al sud Moon Jae-in non sembra in un momento ottimale. In Occidente passa la sua immagine come uomo di pace, e i suoi meriti sono indubitabili. All’interno però pare avere parecchi problemi.
La sua popolarità sta scemando, benché sia necessario precisare che la politica sudcoreana è molto oscillatoria. I problemi più urgenti per Moon sono creati dall’opposizione e dalla situazione economica del paese. Le promesse che erano state fatte in campagna elettorale non sono state mantenute in toto, si sono dimostrate promesse tipiche di alcuni momenti elettorali.
Non è riuscito a incidere sul tasso di occupazione, sulla creazione di maggiore ricchezza. Ha creato pochi posti di lavoro, cosa che gli viene rinfacciata soprattutto dalla sua base elettorale, i più giovani che speravano in un mercato del lavoro migliore.
È in fortissima difficoltà. Ma quello che è più imputabile a Moon è che fino a oggi ha compiuto scelte pericolose per la vita di una democrazia: ha garantito posizioni centrali a chi ha le sue stesse idee mentre ha svuotato le istituzioni (a 360 gradi, quindi anche le università) di chi gli è ideologicamente contrario. Alla fine è anche lui figlio di una politica immobilista: la preoccupazione principale rimane la Corea del Nord.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.