Nel 2013, Pechino ha avviato un’ambiziosa riforma giudiziaria che tra le altre cose prevedeva l’abolizione del laojiao, il sistema di rieducazione attraverso il lavoro di epoca maoista. A distanza di cinque anni, la pratica sembra essere tornata in auge nello Xinjiang la regione autonoma islamica, dove il governo cinese ha istituito una network di centri di detenzione extragiudiziale dove gli elementi “radicalizzati” vengono – ufficialmente- sottoposti a vari programmi di recupero prima di essere reintrodotti nella società. Ma secondo le testimonianze degli ex detenuti dietro il termine “formazione professionale” utilizzato dai media statali si nasconde una forma di lavoro forzato in nulla diversa dal laojiao. ll centro di detenzione della contea di Yutian, per esempio, vanta otto fabbriche specializzate nella produzione di calzaturiera, assemblaggio di telefoni cellulari e confezioni di tè. Ai detenuti spetta uno stipendio mensile base di 1.500 yuan ($ 220).
40 anni di riforme: Pechino dimentica gli esclusi
Martedì, la leadership di Pechino ricorderà il 40esimo anniversario delle riforme economiche con una cerimonia presieduta da Xi Jinping in persona. Volendo fare pronostici, è facile attendersi una carrellata dei successi inanellati in questi anni di apertura, soprattutto nell’ambito della lotta alla povertà. Difficilmente invece verrà fatta menzione di tutti quei lavoratori impiegati nei cantieri edili, morti per realizzare il “miracolo cinese.” Secondo Love Save Pneumoconiosis, 6 milioni di cinesi hanno contratto – talvolta fatalmente – la pneumoconiosi, malattia polmonare causata dall’inalazione delle polveri. Molti di loro, migranti non ufficialmente registrati, sono stati impiegati senza contratto, requisito essenziale per poter pretendere una compensazione adeguata. E le spese mediche sono proibitivi per molti. Quest’anno le richieste di assistenza avanzate dagli operai malati di Shenzhen, la città laboratorio delle riforme capitalistiche, sono state azzittite con ancora maggiore brutalità per evitare acquisissero risonanza sulla scia delle proteste operaie inscenate dagli attivisti marxisti nei pressi della megalopoli.
Wanda si dà al turismo rosso
Il gruppo immobiliare Wanda di proprietà dell’ex uomo più ricco di Cina costruirà un gigantesco complesso dedicato al turismo rosso a Yan’an, città che negli anni 30 ospitò il quartier generale del partito comunista. Il parco tematico, che ospiterà shopping mall, hotel e cinema per riesumare “lo spirito di Yan’an”, costerà un totale di 1,74 miliardi di dollari. Se tutto andrà come da programma, il progetto dovrebbe essere completato entro il 2021. Wanda è tra le aziende ad essere finite nel mirino del governo per l’indebitamento accumulato a causa di una serie di investimenti esteri “irrazionali”. Un complesso dedicato alla leadership comunista sembra proprio quel che ci vuole per tornare nelle grazie di Xi Jinping e compagni. Lo scorso anno quasi 500 milioni di persone si sono recati nei siti storici del turismo rosso.
Se McKinsey “trama” con il governo cinese
Dalla Belt and Road al controverso piano industriale made in China 2025. Negli ultimi anni gli interessi di McKinsey & Company, una delle principali società internazionale di consulenza manageriale, si sono uniformati all’agenda politica del governo cinese. Secondo un’inchiesta del New York Times, la società con base a New York vanta tra i propri clienti player locali dalla fama discussa come China Communications Construction Company, la compagnia dietro all’espansione delle isole contese nel Mar cinese meridionale. Ben 22 delle 100 aziende statali cinesi, legate a doppio filo alle autorità centrali e provinciali, si sono avvalse dei servizi di McKinsey, talvolta creando un conflitto d’interessi per la società impegnata al contempo nel supporto degli interlocutori locali lungo la Nuova Via della Seta, come nel caso dell’ex amministrazione malese di Najib Razak, ora sotto processo per corruzione. Non solo. Secondo il quotidiano della Grande Mela, McKinsey avrebbe facilitato la propria espansione nella Repubblica popolare reclutando nel proprio team figure di spicco della politica cinese, compreso il genero dell’ex premier Wen Jiabao.