La riforma della Costituzione giapponese postbellica è ormai solo una formalità. Shinzo Abeha nella pratica già realizzato il suo obiettivo sul lungo termine: normalizzare il Giappone dal punto di vista strategico e militare.
La maggioranza che sostiene il governo – formata dal Partito liberaldemocratico del primo ministro e il suo partner Komeito – ha approvato un documento provvisorio che contiene nuove linee guida sulla difesa nazionale. Martedì è previsto il passaggio in Parlamento che porterebbe a una riforma-lampo del comparto difesa giapponese.
Il documento delinea un rafforzamento delle capacità difensive giapponesi in senso “multidimensionale”, aggettivo che punta verso la creazione di forze di difesa efficaci, in grado di condurre attività “flessibili e strategiche” sia in tempo di pace sia in “contingenze” critiche.
I diversi comparti della difesa nazionale, insomma, dovranno condurre operazioni integrate, non più separate in operazioni esclusivamente di terra, di mare o d’aria. Un’idea che, secondo quanto riportano i media giapponesi, apre la strada ad una razionalizzazione delle forze armate giapponesi, le cosiddette Forze di Autodifesa Nazionale (Jieitai) – oggi composte in tre divisioni: Ground Self-Defense Force (terra), Maritime Self-Defense Force (mare) e Air Self-Defense Force (aria) – attraverso la creazione di un’unità di trasporto marittimo e spaziale al momento non afferente a nessuna delle tre divisioni del Jieitai.
Cardine del piano è l’acquisto di F35 dell’americana Lockheed, in grado di eseguire manovre di decollo veloce e atterraggio verticale.
Tokyo comunicherà l’acquisto di quaranta di questi velivoli ma, secondo alcune fonti, potrebbe aumentare il pacchetto a 100 unità, nel tentativo di ridurre il deficit commerciale con Washington e rabbonire Donald Trump che più volte, soprattutto in campagna elettorale, ha accusato il Giappone di pratiche scorrette e di non pagare una quota equa per la propria difesa nazionale.
Per raggiungere gli obiettivi individuati dalle linee guida, secondo alcune fonti citate dal Japan Times, il governo Abe avrebbe intenzione di stanziare oltre 27 mila miliardi di yen – 210 miliardi di euro circa – per i prossimi cinque anni, in aumento rispetto al quadriennio 2014-2018.
Uscito da poco vincitore dalle elezioni a leader del suo partito, Abe ha messo un’ipoteca sul suo mandato che terminerà nel 2021. A ottobre ha inaugurato il suo quarto rimpasto di governo il più ampio dal 2012 e quando lascerà l’incarico probabilmente sarà il premier più longevo della storia del dopoguerra del suo Paese.
L’obiettivo a lungo termine della sua amministrazione, la riforma dell’articolo 9 della Costituzione postbellica giapponese, che impone la rinuncia eterna alla guerra e al mantenimento di forze militari di ogni tipo, sarà probabilmente posticipato alla prossima sessione parlamentare – quella attuale è terminata lo scorso 10 dicembre –.
L’iter di riforma costituzionale è particolarmente complesso e macchinoso: oltre ai due terzi della maggioranza nelle due camere del Parlamento, è richiesto un referendum popolare. Meglio quindi prima realizzare e poi, semmai, in un secondo momento, ratificare a livello legislativo.
Precedenza alla Realpolitik. Da una parte c’è l’urgenza di controbilanciare l’ascesa tecnologica e militare cinese, dall’altra assecondare le richieste statunitensi di maggiori investimenti nel comparto difesa.
Il governo Abe ha già operato un colpo di mano sull’articolo 9 della Costituzione nel 2015, con l’approvazione di un nuovo pacchetto di leggi sulla sicurezza nazionale che agevola l’intervento delle Forze di autodifesa all’estero anche in situazioni di potenziale conflitto e in missioni di appoggio a truppe alleate. L’attuale primo ministro vorrebbe, entro la fine del suo mandato, vedere riconosciute le Forze di autodifesa nella nuova Costituzione.
Le nuove linee guida sulla sicurezza sembrano un ulteriore avvicinamento a quell’obiettivo, cioè il superamento dell’anomalia di un Paese senza esercito a pieno titolo.
Altro punto cruciale delle nuove linee guida della Difesa è, infatti, la modifica del cacciatorpediniere portaelicotteri Izumo per permettere il trasporto dei nuovi jet. Nella pratica, la Izumo diventerebbe la prima portaerei giapponese dalla fine della Seconda guerra mondiale.
Sulla base dell’articolo 9, negli ultimi 70 anni la marina giapponese non si è mai dotata di una portaerei. La linea dell’attuale governo di Tokyo è di senso opposto, anche se i vertici della Difesa mantengono una posizione ambigua. «È desiderabile che la Izumo possa essere utilizzata il più possibile per molteplici scopi», ha spiegato a fine novembre alla stampa il ministro della Difesa Takeshi Iwaya.
E questo ha attirato numerose critiche, sia sul fronte interno, sia da parte del principale avversario, ma anche interlocutore, geopolitico nella regione: la Cina. Il quotidiano Asahi Shimbun, di orientamento riformista, ha definito la scelta del governo il superamento di una “linea rossa” che rischia di provocare una pericolosa escalation con Pechino.
Sul Global Times, giornale in lingua inglese vicino all’establishment del Partito comunista cinese, ha definito le nuove linee guida sulla difesa come una “mossa aggressiva” che potrebbe portare il Giappone a “ripetere la propria storia militaristica”.
Per Abe, però, la costituzione di una forza militare efficiente, moderna e multidimensionale passa proprio da qui.
[Pubblicato su Eastwest]