Per dare qualche numero, l’import cinese di vino ha visto materializzarsi un + 75% dal 2012, e nel 2017 il Dragone ha importato oltre 746 milioni di litri complessivi. La globalizzazione ha fatto il resto, trasformando la Cina in un’opportunità da sfruttare. Tra quelli che hanno visto questa possibilità, Simone Incontro e Davide Orbolato che operano nel settore vinicolo cinese dal 2008, occupandosi di far incontrare i diversi attori del mercato dei vini: distributori, importatori e produttori.
Simone è General Manager di Veronafiere in Cina. Un anno fa la piattaforma veneta ha aperto in Asia, a Shanghai, un ufficio di rappresentanza, un presidio permanente, insomma. “L’importanza di questo termine è fondamentale – racconta Simone – Organizzare l’evento di un giorno non funziona più, e forse non ha nemmeno mai funzionato. Gli eventi che organizziamo, in realtà, sono dei momenti all’interno di un anno di lavoro quotidiano. Nell’epoca del digitale è fondamentale avere un luogo fisico dove gli attori e le aziende possono incontrarsi” racconta. Certo, poi anche l’online, soprattutto con i suoi contenuti di qualità in lingua cinese, gioca la sua parte. Simone, infatti, ci tiene a sottolineare che i canali di Veronafiere su WeChat e Weibo contano circa 5000 followers “veri” a testa.
Davide è invece China Country Manager per Cavit. “Ho iniziato a lavorare nel mondo del vino importando vini italiani in Cina con il supporto di vari partner locali. In seguito ho conosciuto la Cavit a un evento e abbiamo condiviso un progetto”. Dieci anni di esperienza in Cina sono serviti per analizzare a sufficienza il contesto. Già, perché chi vuole fare business in terra cinese non solo deve essere presente fisicamente ma deve anche avere una Route to Market Strategy. Una volta individuato il mercato bisogna chiedersi qual è il percorso da intraprendere. Davide racconta: “Non basta prendere il vino e portarlo in Cina. Si devono fare delle domande. Lo vendo solo in un canale? A quale canale do priorità? L’azienda deve avere una chiara visione organica”.
Il mercato cinese, in materia di vini, ha sì numerosi vantaggi ma presenta anche diverse criticità. “È un mercato in via di sviluppo e in perenne evoluzione. Inoltre è soggetto a rivoluzioni molto veloci. La vita e la morte di un prodotto possono essere immediate per varie motivazioni, come conferma anche la recente vicenda di Dolce & Gabbana” aggiunge Davide.
Anche l’approccio delle aziende straniere alla realtà locale gioca un ruolo fondamentale all’interno del mercato. “Uno dei limiti italiani è quello di entrare in Cina pensando di essere in America. Non bisogna, poi, essere arroganti e pensare di produrre il vino migliore al mondo. Spesso gli operatori non conoscono la cultura cinese e non sono umili” continua Simone.
La quota di mercato vinicolo dell’Italia in Cina è pari al 7%. Si può e si deve fare di più, perché nonostante un piccolo balzo in avanti il vino italiano è ancora un nano nel panorama generale. Mentre esiste una forte identificazione tra Italia e moda, non esiste qualcosa di simile con i vini, che vengono associati, dagli operatori cinesi, a Francia, Australia e Cile. Eppure, nonostante questo, nelle varie fiere organizzate in Cina, l’Italia è sempre ai primi posti come numero di espositori.
Tante sono le cose cambiate dal primo giorno che Simone e Davide hanno iniziato a lavorare in Cina con i vini. “Mi ricordo che una decina di anni fa c’era una scarsità di offerta del prodotto da cui derivavano mancanza di qualità e assenza di diversificazione. Oggi la situazione è diversa. Il mercato è grande nei numeri e nel potenziale, ma piccolo nella coerenza dei passi che un mercato così grande deve fare. Tutti si aspettano volumi fantascientifici, ma questi si ottengono solo con la sedimentazione di contenuti culturali” dice Davide.
Il vino, che è prodotto anche in Cina, qui non viene ancora consumato in modo consolidato. In poche parole non è correlato alla cultura. L’offerta vinicola è mondiale, la competizione è globale e il bacino di utenza è abbastanza identificato. C’è una grande competizione nel mondo, e la difficoltà vera è creare e consolidare il brand. Sarà proprio questa una delle capacità più richieste a chi vorrà intraprendere questo percorso, oltre alla conoscenza della cultura cinese e la capacità di ragionare in termini di progetti a lungo termine. La padronanza della lingua cinese è poi una conoscenza fondamentale per operare al meglio all’interno del mercato locale. Simone e Davide hanno avuto da questo punto di vista due percorsi universitari indirizzati alla conoscenza del mondo Cina. Come però spiega Davide: “La comunicazione deriva dalla pratica. Avere una infarinatura generale sui caratteri aiuta ed è importantissimo. In fin dei conti, però, funziona come con l’inglese. Per masticare bene l’inglese non c’è miglior modo che parlare con gli inglesi o gli americani. Lo stesso vale per il cinese”.
Il vino più venduto in Cina non è quello italiano, bensì quello francese; a seguire troviamo Australia e Cile. Come si può recuperare terreno? “Il vino italiano oggi soffre tanto, ha poco appeal. Siamo schiacciati dai vini francesi e da quelli del “nuovo mondo” e dei paesi che appartengono alla One Belt One Road. Le cantine devono fare presidio e l’Italia deve essere compatta” afferma Simone. “Senza scordarsi della richiesta degli operatori di una maggiore specializzazione. Bisogna capire come meglio costruire un valore per comunicare a livello di brand e paese che il vino italiano ha ben specifiche qualità. Fin qui i brand hanno prevalso sul sistema paese, cosa che nei paesi che hanno successo funziona all’opposto” aggiunge Davide.
Il futuro si prospetta roseo, a patto che l’Italia comprenda le criticità del mercato vinicolo cinese e faccia tesoro dei suoi errori. Veronafiere, ad esempio, propone di raggiungere due obiettivi che coincidono con il coinvolgimento del popolo cinese. “Da una parte – svela Simone – incrementeremo l’incoming business, attirando gli operatori del settore a Vinitaly e nelle nostre cantine; dall’altra proporremo uno stage in Italia agli studenti di enologia del gruppo Wine in University, che collega una trentina di istituti universitari in tutto il paese”.
di Federico Giuliani
Federico Giuliani è nato a Pescia, in provincia di Pistoia, nel 1992. Nel 2014 ha conseguito la laurea triennale in Comunicazione, Media e Giornalismo presso la Facoltà di Scienze Politiche «Cesare Alfieri» di Firenze. Nel medesimo ateneo si è specializzato in Strategie della Comunicazione Pubblica e Politica nel 2016 con una tesi sul sistema politico della Corea del Nord. È iscritto all’Albo dei Giornalisti Pubblicisti della Toscana e, tra le varie esperienze giornalistiche, ha effettuato uno stage con la redazione fiorentina di «Repubblica». Scrive per ilsussidiario.net e di Asia per Gli Occhi della Guerra e China Files. Nel 2018 ha pubblicato il libro “Corea del Nord: viaggio nel paese-bunker” per i tipi di Polistampa.