La dipendenza da un modello di crescita economica trainato dagli investimenti sta spingendo la Cina verso un “iceberg del debito e rischi di credito titanici“. È l’analisi dell’agenzia di rating americana S&P Global, secondo la quale le passività fuori bilancio dei governi locali potrebbero ammontare già a una cifra compresa tra i 30 e i 40 trilioni di renminbi (4,3-5,8 trilioni di dollari), pari al 60% del Pil nazionale. Numeri che si avvicinano ai 59,3 trilioni calcolati da Moody a fine agosto, quando il colosso del rating definì la Cina il paese con “il settore corporate più fortemente indebitato al mondo“. Ma che invece superano di gran lunga i 16,6 trilioni dichiarati lo scorso 29 dicembre dal ministero delle Finanze cinese con l’intento di sottolineare l’incremento marginale rispetto all’anno precedente (15,32 trilioni) e ben al di sotto dei 18,8 trilioni stabiliti dall’Assemblea nazionale del popolo (il parlamento) come soglia massima per il 2017.
La discrepanza delle stime trova spiegazione nel “sistema di scatole cinesi” impiegato dalle amministrazioni locali per accedere al credito necessario a puntellare il boom infrastrutturale degli ultimi anni. Tutto ruota intorno a una sigla. Si scrive LGFV e si leggeLocal Government Financing Vehicle: sono le entità costituite dalle municipalità per aggirare il divieto sull’emissione di bond imposti da Pechino tra gli il 1995 e il 2009. Parliamo perlopiù di società immobiliari, aziende di fixed asset management ed enti per lo sviluppo delle risorse urbane. Chi sono i creditori? Piccoli istituti di credito regionali, molto spesso non autorizzati a operare fuori dei confini amministrativi e pertanto completamente dipendenti dal supporto di governi locali, imprenditori e imprese statali. Chiudere il rubinetto dei prestiti ai campioni locali per molti significherebbe la morte, spiegava tempo fa al Financial Times Alexander Campbell, autore di “China’s worst banks“.
Negli ultimi anni, il binomio LGFV-banche regionali ha permesso alle amministrazioni di attingere al pacchetto di stimoli varato da Pechino all’indomani della crisi finanziaria internazionale per sostenere l’economia cinese. Gli investimenti sono finiti in quei settori – come immobiliare e infrastrutture – strategici per tenere a regime la produzione industriale, creare posti di lavoro e riempire le casse dei governi locali grazie alla vendite della terra, che in Cina è dello Stato. Ma a distanza di una decade, la bolla del mattone e l’insostenibilità economica della frenesia per le infrastrutture hanno evidenziato tutti i limiti del vecchio modello di crescita. “L’iceberg del debito” ne è il segno più evidente.
Nel frattempo, mentre dall’inizio del 2009 nuove regole introdotte dalla People’s Bank of China e China Banking Regulatroy Commission permettono alle amministrazioni locali “qualificate” l’utilizzo di “vari strumenti finanziari”, l’accesso al credito continua ad avvenire prevalentemente attraverso canali occulti, tanto che secondo Richard Langberg, analista di S&P, oggi alcune città cinesi contano addirittura centinaia di LGFV. Fattore che rende il calcolo esatto delle passività praticamente impossibilepersino per le autorità centrali.
Prendendo atto del problema, lo scorso 13 settembre, nuove linee guida rilasciate congiuntamente dagli Uffici generali del Partito comunista e del Consiglio di Stato avvertono che “le LGFV, quando gravemente incapaci di garantire la copertura dei debiti contratti attraverso le loro attività, dovrebbero impegnarsi in procedure di fallimento e ristrutturazione o procedere alla liquidazione, secondo quanto previsto dalla legge. Devono stare in guardia dal ‘Too Big to Fail’ e dall’accumulo sistemico del rischio.” Segno che il default dichiarato dalla statale Xinjiang Production Construction 6th Shi ad agosto potrebbe costituire solo il primo di una lunga serie. “Il livello del debito è troppo alto perché il governo possa procedere a un salvataggio senza stampare massicciamente moneta“, spiega al Financial Times, Kevin Lai, chief economist di Daiwa Capital Markets.
Gli effetti potrebbero essere catastrofici non solo per gli enti statali direttamente coinvolti. Secondo l’economista Hu Xingdou, il fallimento delle LGFV si ripercuoterà su una base di investitori molto ampia dal momento che “gran parte dei debiti municipali sono stati finanziati attraverso Wealth Management Products, prodotti finanziari ad alto rischio venduti attraverso le banche e presenti nel portafogli di comuni investitori. Molte persone potrebbero perdere i risparmi di una vita“.
[Pubblicato su Il Fatto quotidiano online]Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.