In Cina e Asia — Il suicido in diretta che indigna la Cina

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La nostra rassegna quotidiana


Il suicido in diretta che indigna la Cina

Il 21 giugno Li, 19 anni, si è buttata dall’ottavo piano di un palazzo tra urla, incitamenti da stadio e applausi. Il grottesco suicidio è andato in scena a Qingyang, nel Gansu, due anni dopo il tentato stupro da parte di un insegnante, causa scatenante di una profonda crisi depressiva. Il 24 giugno, il post sulla storia di Li e il livestreaming della sua caduta nel vuoto sono stati condivisi su Kuaishou e Weibo più di 30.000 volte, totalizzando 35.000 commenti. “Sono le persone che hanno applaudito che l’hanno fatta davvero ammazzare. Anche il suo ultimo frammento di spirito è stato schiacciato in quegli ultimi momenti”, scrive un utente. Secondo il China Youth Daily alcuni dei passanti coinvolti sono stati trattenuti dalla polizia per “scarso rispetto nei confronti della vita”. Negli ultimi mesi il fenomeno #MeToo ha innescato una reazione a catena persino in Cina. Nonostante la censura sono stati in molti a raccontare gli abusi subiti dagli insegnanti a causa di un sistema scolastico e sociale che impone una sudditanza estrema nei confronti degli educatori. Al contempo, dal 2013 a oggi l’aumento dei suicidi tra i giovanissimi ha acceso il dibattito sulle responsabilità legali degli istigatori, spesso attivi su social come QQ. Secondo la legge cinese l’istigazione al suicidio di per sé non è reato ma se rivolta a persone particolarmente giovani o con disabilità mentali viene considerato omicidio.

Cina: censurati John Oliver e la HBO

Il nuovo monologo su Xi Jinping del famoso comico britannico John Oliver non è stato particolarmente gradito a Pechino, che ha disposto delle azioni di censura per la rete americana, la quale si unisce ora alla lunga serie di “bannati”, tra cui New York Times, Facebook e Twitter.

Cybersecurity: La Cina sta riscrivendo le regole dell’internet globale

Se la gran parte dei social e aziende di big data occidentali non sono riuscite ad entrare o hanno avuto vita difficile in Cina (da Facebook a Google e Apple), lo stesso non si può dire per le compagnie cinesi in occidente. Aziende come Huawei per esempio hanno già intrapreso accordi di data-sharing con Facebook, spaventando il senato Usa che sta già lavorando a dei provvedimenti per impedire che Pechino continui ad avere accesso ai dati sensibili dei cittadini statunitensi. Lo stesso principale motivo che, oltre alla censura, ha sempre spinto Pechino ad opporsi all’ingresso di gestori di big data stranieri sul suolo mandarino, e che ora seguendo la visione indicata dal Presidente Xi, ha già messo in campo numerosi azioni per trasformarsi in una “cyber superpotenza” e riscrivere le regole dell’internet globale, a partire dalla sorveglianza dei singoli e del mercato attraverso lo sviluppo del “Credito Social”, un sistema che aspira a divenire modello per l’intero pianeta.

Pechino sta portando la Pace in Afghanistan?

L’invasione occidentale e italiana dell’Afghanistan va avanti da 17 anni e ora la Cina, che a lungo è rimasta in disparte a osservare, lo sta ricostruendo, accrescendo notevolmente presenza e investimenti, violando la sua sacra politica di non-interferenza, e mediando nel dialogo tra governo e talebani. Solo negli ultimi due anni sono stati investiti $3 miliardi nell’estrazione di rame per aziende mandarine, mentre nei prossimi tre anni Pechino aumenterà i propri aiuti al paese di oltre $240 milioni. Tuttavia, il supporto cinese è prevalentemente militare, creando basi e fornendo finanziamenti logistici, armamenti ed equipaggi all’esercito. Azioni che di fronte all’influenza Nato e le tensioni col Pakistan, creano perplessità rispetto alle possibilità cinesi di agevolare il processo di pace.

Filippine: la guerra alla droga arriva nelle scuole

Ispezioni di zaini e armadietti, oltre a test random per gli insegnanti e gli studenti di quarta elementare dai dieci anni in su. Sono alcune delle controverse misure proposte dalla Philippine Drug Enforcement Administration (PDEA). I controlli, su cui stanno discutendo il Dangerous Drugs Board (DDB), il ministero dell’Istruzione e le scuole, sarebbero giustificati dalla frequenza con cui le forze dell’ordine hanno “portato in salvo” minori durante i raid antidroga. Dal 2016 a oggi sono oltre 4.000 le persone uccise durante le operazioni ufficiali, a cui si sommano diverse migliaia di esecuzioni extragiudiziali. Al momento la proposta sta incontrando le resistenze del ministero dell’Istruzione secondo il quale l’ordine vincolante di “testare tutti gli studenti di età pari o superiore a 10 anni può necessita una modifica del Comprehensive Dangerous Drugs Act del 2002, che autorizza solo i test di droga per studenti di livello secondario e terziario.”