Alla guida di una delegazione di centinaia di uomini d’affari e diplomatici giapponesi, giovedì scorso Shinzo Abe è arrivato a Pechino per una serie di incontri ufficiali e per porre la firma su una alcuni accordi strategici tra le due principali economie del Nordest asiatico.
Finanza, commercio, innovazione e cooperazione per lo sviluppo: questi i principali ambiti in cui Tokyo e Pechino puntano a trasformare la competizione in collaborazione. Punto fondamentale della serie di accordi siglati tra le due parti il ripristino di un patto triennale per lo swap valutario – lo scambio di flussi di cassa tra le banche centrali per ridurre i rischi di instabilità finanziaria – da circa 30 miliardi di dollari, il più consistente finora firmato da Tokyo con un Paese estero.
Il clima, compassato e ufficiale, sembra molto lontano dall’abbraccio caloroso tra Deng Xiaoping e Takeo Fukuda del 1978, anno della firma del Trattato di pace e amicizia tra i due giganti asiatici. Per un attimo da parte gli screzi storici, territoriali e le dialettiche nazionalistiche sono passati in secondo piano.
La stretta di mano tra il premier nipponico Shinzo Abe e il suo omologo Li Keqiang dà avvio a una nuova era – questo almeno l’auspicio delle due parti – nelle relazioni tra Tokyo e Pechino.
«Abbiamo raggiunto un accordo per non minacciarci e non aggredirci l’un l’altro», ha spiegato Li Keqiang al termine della cerimonia. «Crediamo sia nell’interesse comune – ha aggiunto il premier cinese – mantenere una relazione stabile tra Cina e Giappone sul lungo periodo, un fattore di stabilità per l’intera regione».
«Vogliamo espandere la nostra relazione in modo significativo», ha risposto a stretto giro Abe. «Siamo vicini, partner che cooperano l’uno con l’altro. Dobbiamo evitare di diventare una minaccia l’uno per l’altro».
Ed ecco che oltre agli scambi bilaterali, Cina e Giappone trovano uno spazio comune nelle iniziative di cooperazione allo sviluppo all’estero. Con la sua visita a Pechino, la prima in sette anni di un leader giapponese in Cina, il Giappone viene ufficialmente accolto nel novero dei Paesi che favoriranno la costruzione della Nuova via della Seta voluta dal leader cinese Xi Jinping. In questo senso va letta la collaborazione per la costruzione di una “smart city” in Thailandia.
La notizia arriva a poche ore dalla conferma dello stop degli aiuti pubblici allo sviluppo giapponesi alla Cina, una vera svolta nelle relazioni tra i due Paesi dal dopoguerra.
Dal 2014, quando avvenne il primo, strano, incontro tra Shinzo Abe e il presidente Xi Jinping a margine dell’Apec di Pechino, le diplomazie di Cina e Giappone hanno lavorato per smussare gli angoli e rendere le relazioni tra i due Paesi più armoniose.
Questo nonostante l’insofferenza giapponese per l’audacia mostrata da Pechino nel Mar cinese meridionale – da cui passa quasi il 20 per cento delle importazioni giapponesi – e nel Mar cinese orientale – dove è ancora irrisolta la disputa sulle isole Senkaku o Diaoyu.
La diplomazia economica ha giocato una parte fondamentale. Lo stesso Li Keqiang, ricevendo a novembre dello scorso anno Sadayuki Sakakibara, capo della confederazione degli industriali aveva sottolineato l’importanza di costruire una relazione di fiducia reciproca a partire dalla base della società civile.
La Cina è il primo partner commerciale con un volume di scambi di 300 miliardi di dollari nel 2017 ed è un mercato ideale per le aziende giapponesi del settore automotive e degli elettrodomestici votate all’export.
Pochi mesi dopo il rapporto di fiducia arriva ai livelli più alti della società. Il selfie del ministro degli Esteri giapponese Taro Kono e della portavoce del ministero degli Esteri cinesi Hua Chunying fa il giro del web attirando commenti positivi – ma soprattutto critiche da parte dei netizen di destra nipponici.
Nel frattempo, le crisi missilistiche nordcoreane, l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca e l’entrata in vigore delle tariffe commerciali Usa su beni made in China – 25 per cento su un totale di 34 miliardi di beni d’importazione – hanno accelerato i tempi del riavvicinamento tra Tokyo e Pechino.
Per alcuni analisti giapponesi, Abe, che intanto, sul fronte interno si è confermato per la terza volta capo del partito di maggioranza e al governo dal 2012, deve mantenere alta la guardia: avvicinarsi troppo alla Cina potrebbe pregiudicare l’alleanza di sicurezza tra Giappone e Stati Uniti. Un equilibrio, per quanto precario, oggi sembra sempre più possibile.
[Pubblicato su Eastwest]