Tra gli anni ’80 e ‘90, team di scienziati e astronomi iniziarono a progettare degli specchi orbitali che avrebbero dovuto illuminare a giorno la notte e allungare così le giornate lavorative risparmiando sull’illuminazione pubblica. Dopo alcuni lanci di prova, alla fine degli anni ’90, però, il progetto Znamya fu accantonato per i suoi costi eccessivi. Costruire un secondo sole, certo, non è affare da poco. Costruire una seconda o una terza luna sembra invece più a portata di mano. Non è un caso che, quasi con lo stesso spirito, un altro team di scienziati, cinesi questa volta, si è messo al lavoro su una serie di lune artificiali che dovranno essere lanciate in orbita a 500 km dalla Terra entro il 2022.
Queste cosiddette “lune” saranno dei satelliti dotati di una copertura riflettente in grado di riflettere la luce solare e che serviranno ad integrare la luce lunare con una luminosità di otto volte superiore a quella del nostro satellite. Il lancio della prima luna è previsto entro il 2020. Chengdu, la capitale del Sichuan, nella Cina centro-occidentale, la città scelta per i primi test. “Non basterà a illuminare tutto il cielo di notte”, ha spiegato al China Daily, quotidiano ufficiale in lingua inglese, Wu Chungfeng, uno dei responsabili della Tian Fu New Area Science Society, l’organizzazione che promuove il progetto. “La sua luminosità sarà appena un quinto delle normali luci stradali”.
Il primo lancio del 2020 sarà largamente sperimentale e, assicura Wu, non influirà sulla vita di persone e animali perché la luce della prima luna artificiale sarà puntata in un’area desertica lontano dalla città di Chengdu. Sarà solo nel 2022, quando il sistema delle tre lune sarà a pieno regime che esprimerà tutto il suo potenziale “civico e commerciale”. Dato il loro funzionamento integrato – non è detto infatti che tutte e tre siano nella miglior posizione per riflettere la luce solare — le tre lune potranno illuminare dai 3600 ai 6400 km quadrati fino a 24 ore. Come spiega ancora Wu, il vero vantaggio delle lune artificiali starà nella possibilità di modificare direzione e luminosità delle stesse per sostituire gli attuali impianti di illuminazione pubblica. Se le lune artificiali coprissero 50 km quadrati dell’area urbana di Chengdu, Wu stima infatti un risparmio totale per l’amministrazione cittadina di 1,2 miliardi di yuan (pari a circa 170 milioni di euro) all’anno. Oltretutto, non essendo soggette a possibili blackout sulle reti elettriche, potrebbero rivelarsi molto utili in caso di disastro naturale, come un terremoto di grande entità, per guidare i soccorsi e l’arrivo dei primi aiuti in una zona terremotata.
Unica nota negativa: in caso di cielo nuvoloso o coperto, la luce non arriverà a terra o sarà comunque filtrata. Il progetto rimane ancora da sviluppare a livello di fattibilità e sostenibilità a livello business, ma ha avuto fin qui l’approvazione dell’Istituto di tecnologia di Harbin, una delle università politecniche più prestigiose di Oltre muraglia, e della China Aerospace Science and Industry Corporation, azienda pubblica del settore aerospaziale e principale fornitore del programma spaziale cinese.
Non è un caso. La Cina vive oggi un pieno boom di lanci spaziali commerciali, sostenuto da un generoso budget governativo (8 miliardi di dollari, secondo Bloomberg). L’obiettivo è creare un mercato in grado di competere con i leader occidentali come SpaceX di Elon Musk, patron di Tesla, e Virgin Galactic. Sulla spinta della liberalizzazione del monopolio statale sui lanci spaziali decisa dal presidente Xi Jinping, la Cina ha aumentato del 50 per cento in meno di cinque anni il numero di lanci di satelliti nello spazio ed è oggi il terzo paese al mondo per numero di lanci nel 2017.
[Pubblicato su Il Fatto quotidiano online]