Hong Kong costruirà delle isole artificiali per attenuare la cronica emergenza abitativa. Lo ha annunciato mercoledì la Chief Executive Carrie Lam al termine dei primi quindici mesi di governo, illustrando le priorità per il prossimo anno. L’ambizioso quanto controverso progetto – noto come “Lantau Tomorrow Vision” – dovrebbe estendersi a est di Lantau, la più grande isola della regione amministrativa speciale alla foce del Fiume delle Perle, e a largo delle zone costiere di Tuen Mun e Lung Kwu Tan. Gli isolotti copriranno un’area totale di circa 1.700 ettari e forniranno tra le 260.000 e le 400.000 unità abitative per un numero di persone compreso tra le 700.000 e gli 1.1 milioni. Secondo il South China Morning Post, i lavori si svolgeranno in tre fasi a cominciare dalla bonifica di 300 ettari a est dell’isola di Kau Yi da completare in tre anni a partire dal 2025.
Lo scopo conclamato è quello di creare un terzo centro residenziale e commerciale in aggiunta ai distretti di Central e Kowloon East, rispettivamente sull’isola di Hong Kong e sulla terraferma ai due lati del Victoria Harbour. Nei piani di Lam, la vicinanza tanto all’Hong Kong International Airport quanto al nuovissimo ponte Hong Kong-Zhuhai-Macao, pone il progetto di sviluppo in “posizione strategica per interagire con la Greater Bay Area”, la megaregione che nei piani di Pechino dovrebbe riunire Hong Kong, Macao, Guangzhou e altre città della Cina meridionale a formare un hub economico altamente integrato grande quanto la baia di New York, San Francisco e Tokyo messe insieme.
“Lantau Tomorrow Vision” è “interamente pensato per soddisfare le esigenze di vita degli hongkonghesi e lo sviluppo dell’economia di Hong Kong” ha spiegato la leader, aggiungendo che il 70% delle nuove costruzioni sarà costituito da progetti di edilizia residenziale pubblica.
Con un totale di oltre 7 milioni di abitanti e una densità di 6300 persone per chilometro quadrato, l’ex colonia britannica è una delle aree del pianeta più densamente popolate e con il mercato immobiliare più caro. Caratteristica – a cui contribuiscono gli acquisti speculativi dei cinesi della mainland – stigmatizzata nel fenomeno delle “case bara”, loculi in cui sono costrette a vivere circa 200mila persone. Secondo l’ong Society for Community Organisation (SocO), la carenza di alloggi a prezzi accessibili sta spingendo sempre più persone in strada, anche quelle che fino a poco tempo fa potevano permettersi un tetto. Lo scorso novembre i dati ufficiali hanno rivelato che ormai un hongkonghese su cinque vive sotto la soglia di povertà. Negli ultimi cinque anni il numero dei senza tetto è lievitato del 30% a quota 1800. I dati del governo locale per il 2017, pur essendo più prudenti (1.075), parlano di un raddoppiamento rispetto ai 908 registrati nel 2016, senza contare i cosiddetti “McRefugees”, i vagabondi costretti a dormire nelle catene dei fastfood.
Stando a un sondaggio realizzato dal think tank Our Hong Kong Foundation, proprio il sovrappopolamento è considerato tra le fonti di malcontento per il 77% dei residenti. Un dato che, accostato al calo del supporto popolare nei confronti dell’amministrazione Lam (54,3% rispetto al 63,6% di un anno fa) spiega l’insistenza con cui il mercato immobiliare ritorna ciclicamente in cima all’agenda politica locale. Specie dalle proteste democratiche che nel 2014 hanno portato allo scoperto le rivendicazioni non solo politiche ma anche sociali delle nuove generazioni. Di giugno la proposta di una tassa sulle abitazioni vacanti per spingere gli sviluppatori a mettere subito sul mercato gli appartamenti disponibili senza aspettare strategicamente un aumento dei prezzi.
Ma il “Lantau Tomorrow Vision” sembra un po’ troppo anche per chi da anni si batte per ottenere una casa decente. “Che aiuto può darci un progetto che richiederà tra i 20 e i 30 anni per essere completato?” si chiede Siu Wai, 45 anni, costretto a vivere con sua moglie e due figlie in un appartamento di 9 metri quadrati a Kwun Tong.
E poi ci sono i costi economici e ambientali, da mesi oggetto di consultazioni pubbliche non ancora rese note. Secondo proiezioni governative preliminari, le isolette artificiali costeranno ben mezzo trilione di dollari di Hong Kong, pari a metà delle riserve finanziarie dell’ex colonia britannica. La somma più alta mai sborsata dall’amministrazione locale per un piano di sviluppo. Perché piuttosto non sacrificare il prestigioso Fanling Golf Course, uno dei golf club più antichi d’Asia simbolo del turbocapitalismo hongkonghese, accusato da molti di occupare spazio prezioso. Secondo uno studio di fattibilità del governo, l’utilizzo di appena 32 ettari potrebbe bastare a creare 5.000 appartamenti. Ma le unità abitative salirebbero addirittura a 13.000 se il campo da golf venisse interamente riconvertito all’immobiliare.
[Pubblicato su Il Fatto quotidiano online]Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.