La storia è questa: c’è un ragazzo di diciassette anni, nato da genitori americani a Shanghai ed in possesso del passaporto statunitense. Il giovane sembra essere davvero un grande talento calcistico e attira l’attenzione di una società professionistica della città, lo Shenhua FC. Dopo alcuni mesi di prova il club vorrebbe tesserarlo con la rappresentativa U17, ma si ritrova impossibilitato a procedere in quanto il calciatore non è cinese, cosa che gli impedisce di partecipare ai campionati organizzati dalla Chinese Football Association.
Dopo il boom economico degli ultimi anni con folli cifre di mercato, il calcio cinese, per ordine della General Sports Administration, ha dal 2017 cominciato gradualmente a chiudere le frontiere agli stranieri riducendone il numero tesserabile per ogni squadra. Una scelta opinabile che troverebbe una giustificazione nel voler dare più spazio ai talenti locali. Il fatto è che si toglie la possibilità a ragazzi privi della nazionalità cinese ma nati e cresciuti nel paese di poteri costruire una carriera calcistica in quello che a tutti gli effetti è il loro paese. Attualmente non esistono nazioni nel mondo che attuino delle politiche così restrittive.
Il Mondiale al quale abbiamo assistito la scorsa estate in Russia è stato una competizione all’insegna del multiculturalismo, con molte nazionali figlie dell’immigrazione, a partire dalla Svizzera dei kosovari Shaqiri e Xaxha, il Marocco con ben 17 giocatori nati e cresciuti all’estero, la Germania dalle molteplici origini, la Turchia di Ozil, la Tunisia di Khedira, il Ghana di Boateng per citarne alcuni, oltre alla Francia campione del Mondo, naturalmente. Il Mondiale di Russia 2018 per certi versi, al di là delle faziose e sterili discussioni su sovranismo e identità che hanno anticipato la finale, ci ha dato una grande lezione: in un mondo globalizzato nel quale sempre più persone emigrano e tendono a formare coppie miste, il concetto di nazione per le nuove generazioni diventerà sempre più aleatorio.
In questo contesto la Cina del pallone si sta chiudendo sempre più a riccio, ma lascia uno spiraglio per quella che potrebbe essere una svolta storica nella storia della Nazionale guidata al momento da Marcello Lippi. E’ infatti notizia degli ultimi giorni, riportata da Xinhua e Sina Sports, che il Beijing Guoan, compagine della Chinese Super League, starebbe tentando di tesserare Nico Yennaris e John Hou Sæter. Il primo è un centrocampista difensivo scuola Arsenal, militante in Legue One al Brentford, mentre il secondo, classe 1998, è nato in Norvegia e milita nel Rosenborg.
Entrambi i giocatori hanno origini cinesi: Nico Yennaris è nato in Inghilterra da padre cipriota e da una madre con radici cinesi, mentre la madre di John Hou Sæter è cinese. Grazie alle normative vigenti il Beijing Guoan sta lavorando a stretto contatto con la Federazione per attuare un processo di naturalizzazione dei due giovani calciatori con il consenso di questi. Se le trattative dovessero andare a buon fine sia Nico che John potrebbero entrare a far parte delle scelte della Nazionale. Una svolta storica in Cina, che potrebbe essere il primo passo verso un deciso percorso di globalizzazione nel mondo del calcio e il riconoscimento di una nazione che sta diventando sempre più multietnica. Fra gli altri papabili giocatori multietnici che potrebbero far parte della nazionale cinese vi sono Li Tenglong (CSKA Mosca, ha origini russe e vietnamite), Tahith Chong (giovane prospetto del Manchester United proveniente da Curaçao) e Javen Siu (che milita nel Southampton).
Guardando la questione da un’altra angolazione, possiamo già considerare la Nazionale Cinese come un mix di differenti culture ed etnie visto che nella storia recente, molti giocatori non ‘Han’ hanno vestito la maglia del dragone. Nel 2011 su Wildestfootball.net usciva un articolo intitolato ‘The Multicultural Chinese National Team’, nel quale si analizzavano i calciatori delle minoranze etniche chiamati sia in Nazionale maggiore sia nelle rappresentative giovanili. Fra questi era citato Eddi Fulang Xisi (difensore sino tanzaniano militante nello Shenhua) e lo uiguro Muzepper, del quale abbiamo parlato nelle scorse puntate della rubrica Cartellino Rosso, come il primo giocatore originario dello Xinjiang a rappresentare la Cina nel pallone.
La prima grande svolta multietnica nello sport in Cina riguarda invece la nazionale maschile di volleyball, che nel 2009 convocò per la prima volta Ding Hui, al tempo diciottenne. Il pallavolista era ‘scherzosamente’ chiamato Xiao Hei (ovvero piccolo nero) per il colore della sua pelle, dato che era nato da madre cinese e da padre sudafricano. La questione al tempo esplose sul web cinese in maniera alquanto controversa, in quanto, come riportato dall’articolo del Telegraph (China calls up its first black athlete) si definiva il giocatore molto bravo nel ‘cantare e ballare‘ e forte negli sport per una ‘predisposizione genetica‘.
Con lo stringersi dei rapporti tra Cina e paesi africani, anche l’immigrazione sta aumentando e, in futuro non troppo lontano, la Cina dello sport dovrà non solo fare i conti con la questione uigura bensì anche con quella degli atleti di colore. E’ dunque lecito chiedersi se la popolazione è pronta per accettare questo fatto a partire, forse proprio da Nico Yennaris.
di Calcio8Cina
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