Investimenti cinesi all’estero ai minimi dal 2003
Lo sorso anno, gli investimenti cinesi in uscita hanno riportato il primo calo annuo dal 2003, quando i dati sono stati resi noti per la prima volta. Lo rivela un rapporto congiunto di ministero del Commercio, National Bureau of Statistics e State Administration of Foreign Exchange. Nel 2017, gli investimenti diretti all’estero (IDE) sono diminuiti del 19,3% rispetto all’anno precedente a quota 158,29 miliardi di dollari. Circa l’80% è finito in settori quali servizi commerciali, beni di consumo e finanza, mentre i capitali diretti nel settore immobiliare sono diminuiti del 55% a quota 6,8 miliardi. Il crollo va letto tanto alla luce delle nuove misure cinesi contro gli investimenti irrazionali quanto alla stretta messa in atto dall’amministrazione Trump nei settori sensibili culminata con il potenziamento del Committee on Foreign Investment in the United States. Mentre i capitali verso l’altra sponda del Pacifico sono diminuiti gli investimenti verso l’Europa sono lievitati del 72,7%, rendendo il Vecchio Continente la prima destinazione degli IDE cinesi. Ma adesso i paletti anti-Cina cominciano ad alzarsi anche qui.
Il #METOO arriva in tribunale
Il #metoo, in Cina, passa dal web alle corti di giustizia. Ma non grazie a una delle vittime, bensì per iniziativa del presunto assalitore. Si tratta niente meno che del famoso conduttore dell’emittente statale cctv, Zhu Jun, accusato dalla 25enne Xianzi di un’aggressione avvenuta quattro anni prima. Sulla scia dell proteste femministe lo scorso luglio la giovane ha deciso di raccontare la sua storia su Weibo ottenendo una visibilità non sperata. Adesso si trova a doversi difendere davanti alle autorità per aver “danneggiato la reputazione e il benessere mentale” dell’uomo. Il caso di Zhu Jun arriva dopo lo scandalo eccellente che ha coinvolto il capo dell’Associazione buddhista nazionale. A oggi in Cina non esiste una legge specifica sugli abusi sessuali, né una definizione specifica. Ma lo scorso 27 agosto il parlamento locale ha annunciato di avere al vaglio nuove disposizioni del codice civile che permetteranno di trascinare in tribunale chi “usa parole, azioni o sfrutta una relazione subordinata per molestare sessualmente.
Pechino censura la performance economica
Censura e Cina. Un binomio quasi scontato quando si parla di diritti umani e altri temi sensibili. Adesso anche l’economia sembra rientrare nel casistica dei topic da “armonizzare”. Lo scorso venerdì i giornalisti cinesi si sono visti recapitare direttive per “gestire meglio” sei argomenti, tra cui “dati economici peggiori del previsto che potrebbero mostrare un rallentamento”; “rischi legati al debito delle amministrazioni locali”; “impatto della guerra commerciale con gli Stati Uniti”; “calo della fiducia dei consumatori”. Mentre le statistiche ufficiali sono ancora disponibili, la stretta sulla narrativa dei media evidenzia un’apprensione che va oltre la tesi del rallentamento strutturale dovuto alle riforme economiche. I profitti industriali sono in calo da quattro mesi e la borsa è quasi ai minimi da quattro anni. Le nuove regole prevedono anche la disattivazione dei commenti in fondo agli articoli in caso di pubblicazioni online. Solo negli ultimi giorni due portali molto noti – Phoenix News Media e NetEase – sono stati redarguiti per problemi per aver “disseminato informazioni nocive” e altri “problemi gravi”.
Cina, Aids e HIV in aumento del 14%
Nell’ultimo anno, i casi di Aids e HIV oltre la Muraglia sono aumentati del 14%. Lo riportano le autorità cinesi secondo le quali al momento le persone affette sono più di 820.000. Solo nel secondo trimestre dell’anno, si sono registrati 40.000 nuovi casi. La repubblica popolare ha un triste passato di contaminazioni, perlopiù dovute alle scarse norme igieniche durante le trasfusioni di sangue. Al contrario, oggi le infezioni di questo tipo sono state ridotte quasi allo 0%, mentre la stragrande maggior parte dei casi vede i rapporti sessuali come principale veicolo di trasmissione. Complice la mancanza di una corretta educazione sessuale tra i giovani. Per sensibilizzare gli studenti al problema, negli ultimi due anni alcune università hanno istallato distributori automatici per i test dell’hiv.
Giapponesi-coreani citano in giudizio Pyongyang per “danni morali”
Tra il 1959 e il 1984, oltre 93mila giapponesi – di cui molti di etnia coreana – lasciarono il Sol Levante alla volta della Corea del Nord. Gli agenti di Pyongyang li avevano irretiti promettendo loro l’utopia socialista, ma al loro arrivo trovarono solo miseria e discriminazione. A distanza di decenni, ora cinque di loro stanno perseguendo azioni legali contro il governo di Kim Jong-un in un tribunale giapponese. Vogliono un risarcimento per le menzogne raccontate e i maltrattamenti subiti, oltre al rimpatrio dei parenti ancora a Nord del 38esimo parallelo. La loro storia accende i riflettori sulle tristi condizioni di vita dei zainichi (giapponesi di origini coreane), trattati come cittadini di serie B anche in patria. Il tutto mentre l’agenda del premier Shinzo Abe risulta monopolizzata dalla questione dei giapponesi rapiti negli anni ’70 come aspiranti spie.