Quasi in concomitanza con le scuse di Papa Francesco alle vittime degli abusi sessuali da parte di sacerdoti cattolici in Irlanda, un’altra autorità religiosa, il Dalai Lama, incontrava le vittime di abusi da parte di monaci buddisti in Olanda. Il Dalai Lama si era detto sconvolto della storia, divenuta pubblica nel luglio del 2017 dopo una lettera scaturita a seguito di un’indagine, nella quale si dava conto di molestie sessuali da parte di monaci buddisti contro dodici persone. Erano state proprio le vittime – con l’hashtag #MeTooGuru – a chiedere al Dalai Lama un incontro e una condanna nei confronti degli autori degli abusi.
Come riportato dai media internazionali, l’incontro è giunto una settimana dopo che la Rigpa, un’organizzazione buddista internazionale attiva nel mondo occidentale, “si è scusata per presunti abusi commessi dal suo fondatore Sogyal Lakar, noto anche come Sogyal Rinpoche”. Lakar – per altro – è autore del bestseller The Tibetan Book of Living and Dying, che ha venduto oltre tre milioni di copie. Il mese scorso, come riporta la Bbc “un’indagine indipendente di un avvocato commissionato dall’organizzazione Rigpa ha rilevato che alcuni membri del circolo ristretto del signor Lakar erano “soggetti a gravi abusi fisici, sessuali ed emotivi da parte sua”. Il rapporto ha aggiunto che i membri più anziani dell’organizzazione erano a conoscenza di alcuni dei problemi e “non riuscivano ad affrontarli, lasciando gli altri a rischio”.
Lakar si è dimesso motivandolo con “problemi di salute”: così è dovuto intervenire direttamente il Dalai Lama. Ma queste denunce di abusi sessuali non sono le uniche che hanno sconvolto – di recente – il mondo buddista. Nei mesi scorsi, infatti, è salito agli onori delle cronache il buddista più famoso della Cina, dopo il Dalai Lama, accusato da alcune monache buddiste di aver utilizzato linguaggi sessualmente espliciti. Una denuncia che ha portato grande scompiglio, anche a causa della rilevanza del personaggio in questione.
Si tratta infatti del Venerabile Shi Xuecheng già abate del tempio Longquan e – soprattutto – figura notissima in Cina, in quanto a capo dell’Associazione cinese buddista, connessa in modo stretto con il partito comunista. Xuecheng, 56 anni, era infatti a capo dell’organizzazione patriottica buddista, quella riconosciuta dal partito e a cui è concesso di esercitare senza le preoccupazioni che molto spesso attanagliano altri credi religiosi, specie in questo periodo. L’abate godeva dunque di grande libertà, potendo così dare sfoggio delle sue abilità imprenditoriale e di grande comunicatore.
Le accuse contro di lui arrivano da un documento di 95 pagine nel quale sono esplicitati i messaggi a sfondo sessuale inviati alle monache alle quale Xuecheng chiedeva fedeltà e sottomissione assoluta. Un’altra denuncia è arrivata da un monaco del tempio Longquan, così come da una monaca che avrebbe denunciato abusi sessuali da parte del Venerabile.
Xuecheng ha negato tutte le accuse ma su di lui si è abbattuta l’implacabile scure repressiva del partito comunista. La sua figura era emersa negli anni scorsi grazie al suo metodo particolarmente innovativo e, secondo i suoi detrattori, particolarmente spericolato di gestire il tempio e più in generale la carica apicale nel mondo buddista locale. Monaci robot, investimenti, comunicazione simil-commerciale. Ma Xuecheng si muoveva piuttosto tranquillo grazie ai legami che lo legavano al partito comunista.
E proprio il Pcc, in questo momento impegnato in una lotta contro la predicazione delle religioni che tentano di non sottomettersi alla sinizzazione, è stato in grave imbarazzo per tutta la vicenda ma ha saputo correre in modo decisamente rapido ai ripari. Secondo quanto riportato dalla stampa, “accusato dalle monache per i suoi comportamenti e in generale per la cattiva condotta finanziaria, Xuecheng, 52 anni, nelle scorse settimane è stato spogliato dei suoi titoli e mandato in un piccolo tempio nella sua provincia di Fujian. Gli investigatori del governo ora occupano il tempio principale dell’abate a Pechino, hanno fatto piazza pulita del suo gruppo di monaci più fedeli e stanno setacciando i suoi libri contabili per illeciti finanziari”.
Il battagliero movimento #MeToo in Cina, costretto a muoversi tra le tenaglie della censura e in un più generale clima sociale omertoso e legato a una visione tradizionale della famiglia, ha così ottenuto un risultato inatteso: la persona più importante e con maggior potere, ad oggi, accusata di abusi sessuali e comportamenti sessisti è una figura centrale e fondamentale del buddismo nazionale.
Si tratta di un fatto che, tutto sommato, potrebbe giovare perfino alla dirigenza comunista, come al solito preoccupata da qualsiasi movimento che possa recare danno alla propria leadership: denunciare una figura religiosa per crimini sessuali, e colpirla celermente da un punto di vista giudiziario e morale, fornirà sicuramente armi gustose nelle mani della propaganda del partito.
[Pubblicato su Eastwest]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.