La cultura hip hop in Cina non solo ha preso piede, ma ha permesso a molti artisti di crescere e specializzarsi. Ci si può imbattere in concerti hip hop un po’ ovunque, da Urumqi a Chengdu, Xi’an, Wuhan, Canton e Pechino; in molte città cinesi esistono club dove si organizzano le “battles” con vari Mcs (letteralmente Master of Ceremonies) che si confrontano a suon di liriche e basi musicali. Ci sono negozi di dischi e writers con le bombolette e c’è anche un indotto commerciale importante; oggi c’è anche un programma della televisione di Stato, di grande intrattenimento, che si intitola “In Cina c’è l’hip hop”, dove il verbo essere, di esistenza, sottolinea con enfasi ciò che per molti artisti è ovvio e risaputo. Sì, in Cina l’hip hop c’è e da tempo, da una trentina d’anni.
Wang Bo, in arte Mc Webber, fa parte di questa scena musicale dagli inizi degli anni Novanta. Collabora con vari artisti di spessore internazionale, come i Black Star, gruppo hip hop statunitense, ha cantato sullo stesso palco di Julian Marley (figlio di Bob Marley) e con Anthon B, Ras Demo e Congo Natty, autori affermati della scena reggae e dell’hip hop.
Ultimamente è impegnato con l’uscita del suo nuovo album. Lo abbiamo intervistato per approfondire i tratti di una cultura giovanile cinese, che dall’underground è ormai passata in prima serata sui canali nazionali televisivi più importanti.
Cosa pensi di tutta la polemica che c’è stata riguardo all’hip hop in Cina in questo periodo? Mi dici la tua opinione sul programma In Cina c’è l’hip hop, come le politiche governative influenzeranno il vostro modo di fare musica?
È la prima volta che in Cina si è voluto produrre un programma di intrattenimento musicale commerciale di grandi dimensioni con la messa in scena una certa cultura hip hop. Per tutti quelli che conoscono e comprendono cos’è questo tipo di musica, è evidente che il programma ha voluto utilizzare delle rappresentazioni superficiali per attrarre gli occhi delle grandi masse.
Per quello che ho visto, attraverso i finanziamenti e una certa abilità si è voluto fare un’operazione per trarne dei benefici commerciale ma contemporaneamente non ha giovato allo sviluppo genuino della cultura hip hop. Hanno utilizzato questa cultura senza avere la capacità di rendere manifeste le idee che ne sono alla base, provocando ulteriori fraintendimenti per il grande pubblico che non conosce a sufficienza questa cultura e partecipando, così, anche alla perdita del valore e del fascino della vera cultura hip hop.
Alcune politiche governative non penso siano sbagliate, ci sono diverse aree, regioni, con modalità di espressioni culturali diverse, e ogni paese in cui c’è un sistema legislativo, ci devono essere le istituzioni che mantengono un ordine sociale. Ci sono poi dei giovani cinesi (le generazioni più giovani dagli adolescenti ai trentenni) che assorbono, vogliono studiare e vengono influenzati da una cultura straniera, dove però ci sono sistemi diversi e anche un’educazione differente. Da parte del governo non c’è stato un sostegno profondo, un’attenzione, una vera ricerca riguardo la cultura giovanile cinese, ha tutto a che vedere con la mercificazione, con l’intrattenimento, una diffusione arbitraria, un mero utilizzo. Ma non dobbiamo dimenticare che questo succede anche in tutti gli altri paesi al mondo. Riguardo un’influenza diretta sulla vera cultura hip hop, non ci sono stati effetti negativi e se c’è stato qualcosa è stato solo a livello superficiale. L’influenza che queste politiche hanno avuto su di me è zero.
Come hai iniziato ad appassionarti alla musica hip hop e come si è evoluta la tua carriera musicale in questi anni?
La prima volta che sono entrato in contatto con l’hip hop, la stessa parola hip hop non esisteva in cinese. Grazie al film Breakin’ (1984, diretto da Joel Silberg) sono entrato in contatto con una forma ancora embrionale di hip hop, eravamo nel 1986-87, poi mi è cominciata a piacere la musica e il modo di ballare. A metà anni ’90 c’erano poche persone che organizzavano feste, possiamo dire che a Pechino siamo stati i primi e abbiamo cominciato a organizzare feste di solo e autentico hip hop. C’erano dj, bboy, mc che venivano da diversi paesi, dal Giappone, Corea, Stati Uniti, Canada e poi noi cinesi da diverse città. Il più delle volte andavamo in un posto chiamato Orange Club a Pechino. Agli inizi del 2000 alle nostre feste veniva sempre più gente. Dal 2002 al 2004 ho vinto l’Iron Mic* (che radunava i migliori MC di tutta la Cina), poi con due amici americani e un canadese abbiamo dato vita al primo gruppo hip hop che cantava in cinese, gli Yincang (Yin T’sang). Le feste che organizzavamo le abbiamo chiamate Section6 e vanno avanti anche adesso ed è proprio lì che sono nati e cresciuti musicisti e gruppi che oggi sono diventati famosi. Oggi con due amici francesi ho aperto la prima etichetta reggae cinese, la DB Bros, con cui facciamo uscire la nostra musica.
È una piattaforma nata agli inizi del 2000, organizzata da un ragazzo americano di Detroit, Showtyme. Serviva come luogo fisico per far incontrare i vari Mcs cinesi e per le “battle”, ed è diventata nel corso degli anni un grande network che copre una ventina di città in Cina. Sebbene non servisse per creare musica, l’Iron Mic è riconosciuto da tutti come il luogo fondamentale di incontro (e scontro) dei vari artisti hip hop, ed è ha il pregio di essere il primo autentico network sull’hip hop cinese.
Cosa racconti nei tuoi testi?
Lo stile e il contenuto dei miei testi rispecchia la mia esperienza di crescita musicale, il cambiamento e la conoscenza della musica in sé. Le mie canzoni degli inizi (黄皮肤的路 Huang pifu de lu, La strada della pelle gialla; 我的自行车 Wo de zixingche, la mia bicicletta; 诗经 Shijing Il libro delle odi; 姑娘 Guniang, ragazza) erano composte da testi molto diretti, ma la particolarità stava nella mia visione del mondo, ci mettevo me stesso, ma non davo troppa attenzione alle implicazioni concettuali dei testi.
Una mia particolarità oggi, anche rispetto al contesto sociale cinese, è la preferenza alle allusioni e questa è una caratteristica che mi distingue anche dagli altri musicisti che fanno hip hop in cinese oggi in Cina. Adesso quando creo la mia musica riesco, rispetto a prima, ad aggiungere solidità di pensiero e di contenuti. Nella mia musica, rivelazioni, problemi politico-sociali, sesso e violenza, sono praticamente inesistenti.
I miei testi vogliono essere di ispirazione, di incoraggiamento, di stimolo e di ricerca in se stessi.
Com’è fare rap in cinese?
Partiamo intanto dai caratteri cinesi e dalla composizione della frase: in cinese ogni carattere ha un significato e tante implicazioni sottintese e nascoste e anche quando costruisco una frase, l’ordine diverso con cui compongo il periodo crea significati differenti. La combinazione di più caratteri può funzionare da aggettivo per le persone, situazioni o emozioni; con la combinazione di diversi caratteri si possono produrre o cambiare significati espliciti e non espliciti. Se dovessi trovare un’immagine per spiegare che cos’è il cinese (e fare hip hop in cinese) e che racconti la struttura della lingua cinese, direi che è come il cubo di Rubik, nella sua morfologia è come se si aggiungesse una terza dimensione. Prendilo comunque come un commento superficiale non sono un vero esperto di lingua cinese.
L’industria musicale dagli anni ’90 fino a oggi come ha cambiato la cultura hip hop?
Ormai la vera cultura hip hop in Cina ha già una storia di 30 anni. Purtroppo il grande pubblico non ha mai approfondito le sue origini e ci sono sempre state delle idee preconcette, caratterizzate da tante contraddizioni. La vera cultura hip hop, quando è arrivata in Cina, è stata sempre molto dinamica all’interno della musica underground, ma adesso quello che è alla luce del sole e che la massa guarda è solo: spettacolo, moda, l’aspetto commerciale, i film, ma queste sono tutte designazioni di facciata, pochi ormai guardano il suo spirito e la sua essenza. C’è stato chi era appassionato, ha cominciato a produrre musica e brani, ne ha fatto un lavoro e poi ne ha abbandonato l’essenza, e ha utilizzato l’hip hop per fare soldi, più di quanto tu possa immaginare. Si sono create così della incomprensioni tra chi fa hip hop e il grande pubblico. Ci sono dei punti interrogativi, cloni, cieche mitizzazioni, una confusione che ha prodotto delle metamorfosi e ha provocato una proliferazione indifferenziata e una grande bolla culturale.
Nonostante tutto questo c’è comunque sempre qualcuno che continua provare passione, a creare e a far sì che l’hip hop non manchi nella propria vita. La gente che si nutre davvero della cultura hip hop, vera e originaria, se ne frega altamente dell’industria musicale e dei vari paragoni con quello che succede fuori dalla Cina. Per quanto mi riguarda me, il mio spirito e la mia intenzione, non è cambiato praticamente nulla, forse ci sono state solo delle oscillazioni da un punto di vista economico.
Su cosa si radica in Cina l’essenza della cultura hip hop?
Per me l’hip hop è un sistema di espressione con infinite e libere possibilità a cui però si cerca di dare una forma schematizzata. È anche un metodo di comunicazione utilizzato dai ragazzi di oggi, e grazie alla sua particolarità l’hip hop segue la trasformazione che avviene nel tempo e all’interno dell’ambiente e delle società in cui viene prodotto, non mi sento di dare una definizione precisa di cosa deve essere in Cina o del suo spirito e della sua essenza. Non voglio essere un arbitro o un giudice, quello che posso dire è che – in quella che è stata la musica underground e l’industria musicale cinese – sono nato anche io, Wang Bo, Webber in inglese, a cui poi mi è stato dato il prefisso di Mc (Master of Ceremonies).
Chi sono le donne dell’hip hop in Cina, che ruolo hanno?
In Cina non ci sono molte donne che fanno hip hop, molto meno degli uomini, anche se tra le nuove avanguardie ci sono alcune ragazze. A mio parere dovrebbero avere le stesse nostre possibilità, comunque non ci sono grandi diversità nel loro ruolo.
di Désirée Marianini
[Pubblicato su Agi]