Una copertina di Asia Nikkei Review è stata dedicata alle donne asiatiche di successo, specie nel campo della tecnologia e delle startup più innovative. L’intenzione era quella di dimostrare che in Asia si è realizzata una parità di genere molto prima che nella Silicon Valley, dove da tempo si sottolinea la predominanza dei brogrammer, un termine usato nello slang dei programmatori per indicare la prevalenza maschile nel settore.
Un esempio? Eccolo: “La Cina è stata a lungo considerata come un Paese dalle statistiche leggermente discutibili. Anche quest’anno per la festa della donna, i media statali cinesi hanno riferito che le donne rappresentano il 55% degli imprenditori nel settore Internet, una statistica ripetuta dal 2015. Finora, tuttavia, nessuno è stato in grado di capire cosa significhi in realtà. Sono le donne che hanno fondato una startup? Donne che lavorano per un’azienda tecnologica? Donne che hanno aperto un negozio su Taobao? Altre ricerche hanno dato risultati molto diversi. Secondo un rapporto di NetEase Cloud e IT Juzi, il numero di donne imprenditrici è pari al 16%».
Nel giugno 2017 Deloitte ha pubblicato una ricerca al proposito secondo la quale le donne cinesi occupano solo il 10,7% dei posti nei consigli di amministrazione delle società più tecnologiche. Un numero basso ma al pari del resto del mondo, dove si aggira intorno al 15%. Solo il 5,4% dei board aziendali quotati in borsa è presieduto da donne.
E per il New York Times – il dato è di aprile 2018 – “Nella tecnologia (in Cina ndr), gli uomini dominano. Solo una donna è all’interno del board di 11 membri di Alibaba, il gigante dell’e-commerce. In Baidu, nessuno dei cinque membri del consiglio è una donna. In Tencent, un conglomerato di giochi e social media, non ce ne sono. In confronto, Twitter ha in questi ruoli tre donne su 9 posti disponibili. A Facebook, due dei nove direttori sono donne».
Questi dati erano raccolti all’interno di un articolo che si occupava di un piccolo scandalo scoppiato all’interno del mondo hi-tech cinese dominato, come quello della Silicon Valley, dai brogrammer: in pratica le aziende tech cercavano donne per ruoli di massaggiatrici, confidenti dei programmatori, con annunci ad hoc. Naturalmente la cosa non poteva che suscitare dibattito, specie nel vivo mondo dei social network cinesi.
Il New York Times ha raccontato la storia di alcune di loro: “Shen è una programmer motivator: in parte psicologhe, in parte cheerleader, le donne sono assunte per chiacchierare e calmare programmatori stressati. I posti di lavoro proliferano in società che si attengono agli stereotipi di genere e credono che i programmatori maschi siano zhai o nerd che non hanno vite sociali. «Hanno davvero bisogno di qualcuno con cui parlare di tanto in tanto e di organizzare attività per alleviare un po’ la pressione», ha detto Shen, una venticinquenne laureata in ingegneria civile presso un’università di Pechino».
Le donne cinesi hanno fatto passi da gigante nei luoghi di lavoro. Il Paese ha il maggior numero al mondo di miliardari femminili selfmade, mentre molte startup hanno donne in ruoli di alto livello. Ma in un momento in cui gli Stati Uniti e altri Paesi si confrontano direttamente con il movimento #MeToo, le disuguaglianze e i pregiudizi in Cina vengono raramente discussi apertamente e rimangono saldamente radicati.
All’interno di questo mondo caratterizzato dalla bro-dominance ci sono alcune importanti eccezioni. Una di queste è sicuramente Bai Xue oggi a capo di Ping An Good Doctor la startup che mette in rete medici, organizzati attraverso l’intelligenza artificiale, con oltre 200milioni di utenti registrati e in procinto di sbarcare dalla Cina in tutto il sud est asiatico. Dopo aver lasciato il lavoro alla Panasonic ha scalato le gerarchie ad Alibaba per poi lanciarsi nell’avventura della nuova start-up medica.
Destino analogo è quello di Han Mei, un’altra ex manager – con in dote parecchie stock options della creatura di Jack Ma – che ha deciso di intraprendere una carriera da solista creando HelloBike, startup dedicata al bike sharing che oggi è valutata 1miliardo di mezzo di dollari.
Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.