70 anni di Corea del Nord, occhi sulla parata di domenica
Messa ormai in archivio l’atmosfera di pace e amicizia del vertice di Singapore con Donald Trump di giugno, la Corea del Nord si prepara a celebrare il proprio settantesimo anniversario nel migliore dei modi. Sicuramente non mancheranno i famosi giochi di massa, le grandi coreografie celebrative del regime cinque anni dopo le ultime. E, forse, esibendo gli ultimi ritrovati del proprio arsenale, nuove armi in grado di lanciare missili intercontinentali e testate nucleari. D’altronde non può mancare lo spettacolo: a Pyongyang sono attesi dignitari da tutto il mondo, tra cui Wang Yang, membro del comitato permanente del Politburo di Pechino. Ma gli esperti invitano alla calma: “gli Stati Uniti non devono prendere questa parata come una minaccia ai negoziati futuri”. Ma la reazione di Trump potrebbe essere di senso opposto. Il presidente Usa potrebbe dare l’ok al riavvio di esercitazioni militari di grande scala.
La fuga dei cervelli cinesi si ferma: per ricerca la Cina meglio degli Usa
Stipendi più alti e maggiore disponibilità di borse di studio, oltre a un ambiente più familiare e meno ostile. Sempre più scienziati cinesi preferiscono, magari dopo un dottorato all’estero, tornare a casa per proseguire con i loro studi e le loro ricerche. Qualcuno, pare, non sente nemmeno più la necessità di andare all’estero. Merito delle sempre più numerose opportunità di finanziamento alla ricerca disponibili Oltre muraglia e di Trump e della guerra commerciale in corso tra Usa e Cina. Lo scorso anno, secondo statistiche del Ministero dell’educazione di Pechino erano 600mila gli studenti all’estero, la metà dei quali negli Stati Uniti. La situazione non è però facile per tutti coloro che tornano dopo un periodo di studi all’estero. Fuori dalla ricerca scientifica, la maggior parte dei laureati cinesi che ritorna in patria fatica a trovare un lavoro ben pagato e commisurato alle proprie aspettative.
L’ex presidente taiwanese Chen Shui-bian, arrestato nel 2015 per corruzione, ha dichiarato al Sankei Shibun, quotidiano giapponese di destra, che il ritorno di Taiwan sotto la sovranità cinese dovrebbe essere oggetto di referendum. E che questo dovrebbe segnalare con ancora maggiore forza il desiderio di Taiwan di restare indipendente. Chen ha poi invitato l’attuale presidente Tsai Ing-wen, di posizioni indipendentiste, a far valere, sempre tramite il referendum, la cultura democratica di Taipei sull’autoritarismo cinese. Negli ultimi anni, Pechino ha stretto il cerchio intorno a Taiwan, vista da Pechino come una provincia “ribelle”, che prima o poi dovrà essere riportata all’ordine. Dall’arrivo di Donald Trump alla Casa bianca, però i rapporti con gli Usa si sono stretti, anche dal punto di vista militare. Ma oltre a Cina e Usa, spiega ancora Chen, Taiwan dovrebbe guardare anche al Giappone, mai prima di Abe così amichevole con la sua ex colonia, per liberarsi dalla morsa di Pechino.
Fragile Giappone