Tokyo non si fida di Donald Trump e delle sue rassicurazioni sulla Corea del Nord. Così, la solitamente sorniona diplomazia giapponese ha cambiato marcia, interrompendo una fase di virtuale isolamento sulle vicende della penisola coreana.
Secondo quanto riportato dal Washington Post, Shigeru Kitamura, uomo di fiducia del premier giapponese Shinzo Abe, attualmente a capo dell’Ufficio informativo e di ricerca del governo, l’agenzia di intelligence giapponese che riferisce direttamente al capo dell’esecutivo, avrebbe incontrato una funzionaria dei servizi segreti del governo di Pyongyang, Kim Song-hye.
Kim è diretta sottoposta di Kim Yong-chol, braccio destro di Kim Jong-un e uomo di punta dei recenti vertici tra le due Coree, nonché principale interlocutore del segretario di Stato Usa Mike Pompeo.
Il summit sarebbe avvenuto il mese scorso in Vietnam, Paese alleato del Giappone – tra i primi fornitori di aiuti allo sviluppo e investimenti diretti di Hanoi – e storicamente vicino anche alla Corea del Nord, con la quale ha tutt’oggi rapporti diplomatici ufficiali. Al centro dell’incontro la questione dei rapimenti di cittadini giapponesi tra gli anni ‘70 e ‘80.
Ad oggi, il governo giapponese non ha confermato né smentito l’incontro. In ogni caso, il vertice segnerebbe una svolta nel modus operandi di Tokyo nei confronti di Pyongyang.
Contrariamente agli incontri informali tra diplomatici spesso a margine di vertici o conferenze internazionali – il più recente a inizio agosto all’Asean di Singapore tra il ministro degli esteri nipponico Taro Kono e il suo omologo nordcoreano Ri Yong-ho – o attraverso ambasciate straniere per Tokyo, che non ha ancora normalizzato le sue relazioni con Pyongyang, ricorda il Nikkei Shimbun, gli incontri a livello di intelligence offrono diversi vantaggi: sono meno legati ai protocolli diplomatici, e quindi meno esposti all’attenzione pubblica, e permettono l’accesso a informazioni più accurate.
Piccolo dettaglio: la Casa Bianca, scrive ancora il Washington Post, sarebbe stata all’oscuro della vicenda.
Il colpo di testa di Tokyo avrebbe infatti irritato, e non poco, la diplomazia americana da mesi impegnata a mantenere il dialogo con il regno eremita e a tenere costantemente aggiornati i colleghi giapponesi sull’evoluzione dei dialoghi tra le due parti.
D’altra parte, però, per risolvere il problema dei cittadini giapponesi rapiti in Corea del Nord tra gli anni ‘70 e ‘80 Tokyo sente di non poter fare affidamento solo sugli Usa: chi fa da sé fa per tre, si diceva un tempo. La risoluzione del rachi mondai – così è conosciuto in Giappone – è uno dei punti fondamentali della strategia di Abe e della destra conservatrice oggi al governo a Tokyo.
Nonostante il pressing giapponese sulla Casa Bianca – Shinzo Abe è il leader mondiale che più di tutti ha incontrato Trump faccia a faccia, e più di tutti ha cercato di costruirci un rapporto “forte”, arrivando a regalargli una mazza da golf rivestita in oro dal valore di quasi 4mila euro – a ridosso dell’incontro tra Donald Trump e Kim Jong-un a Singapore, la questione dei rapiti giapponesi è rimasta lettera morta nel documento conclusivo dell’incontro del Capella Hotel.
Tokyo però crede che ci siano altre persone (13 in totale) e che Pyongyang non abbia svolto adeguate indagini sul caso. Per la Corea del Nord, invece, quella dei rapimenti è una storia vecchia, conclusasi ufficialmente nel 2004 con il rimpatrio di cinque vittime.
Se fosse confermato, il vertice Kitamura-Kim potrebbe essere indice di qualcos’altro: Tokyosembra aver perso fiducia nel corso diplomatico dell’amministrazione Trump.
All’indomani del vertice di Singapore, mentre Tokyo metteva in guardia da possibili nuove minacce provenienti da Pyongyang, Trump scriveva su Twitter che la Corea del Nord non era più una “minaccia nucleare”. Così facendo, raccontano i retroscena, Trump ha dimostrato di aver ignorato tutti i consigli del suo “buon amico” Abe, suscitando in quest’ultimo non poco risentimento.
Poche settimane più tardi, immagini di satellite hanno rivelato che il regime nordcoreano starebbe lavorando allo sviluppo di nuove armi.
Oltre agli sgambetti diplomatici nell’area del Nordest asiatico, secondo ancora il Washington Post, c’è un altro fattore di scontro: il commercio. Nelle sue apologie dell’America First, in diverse occasioni Trump ha accusato Tokyo di pratiche scorrette sui mercati mondiali. Il Giappone è stato anche l’unico alleato degli Usa non esentato temporaneamente dai dazi di Trump sull’acciaio. I dazi rischiano inoltre di provocare sconvolgimenti anche nell’export di autovetture verso gli States, una delle voci principali del commercio bilaterale tra i due Paesi.
Così, nei palazzi del potere a Tokyo, si guarda con attenzione e sospetto a quanto succede alla Casa Bianca. Il timore principale è comunque legato alla sicurezza nazionale giapponese. Gli Usa possono cambiare idea sulla difesa del Giappone – al momento di fatto appaltata a Washington – prima di una riforma costituzionale che doti il Sol levante di un esercito a pieno titolo. Nemmeno le recenti rassicurazioni sulla permanenza delle forze militari Usa a Okinawa, nel sud dell’arcipelago giapponese, e in Corea del Sud bastano.
La frattura tra Tokyo e Washington si sta allargando.
[Pubblicato su Eastwest]