Tra i numerosi leader africani sbarcati a Pechino in occasione del settimo Forum Sino Africano chiusosi martedì scorso, anche Hery Rajaonarimampianina, Presidente del Madagascar.
Reggie, come è chiamato dai suoi concittadini, ha messo a segno nel corso del suo viaggio pechinese, alcuni colpi che potrebbero rivelarsi decisivi per guidare l’esito dell’imminente primo turno di elezioni presidenziali del prossimo novembre. Votazioni che, arrivano dopo alterne vicende politiche e un tentativo di destituzione di Reggie bocciato dalla Corte costituzionale nel 2015, e vedono il presidente attuale correre per un nuovo mandato contro due pezzi da novanta della politica malgascia, gli ex presidenti Ravalomanana e Rajoelina.
A Pechino la delegazione malgascia ha firmato una lettera di intenti con la China Road and Bridge Corporation, azienda presente nel paese fin dai primi anni ‘80 e a cui si devono alcune tra le principali infrastrutture del Paese africano. Il documento prevede la costruzione di una linea ferroviaria che copra i 400 km che collegano la capitale Antananarivo alla città di Fianarantsoa nel centro del paese, e la costruzione di un porto nella regione di Antsiranana, nel nord dell’isola. Inoltre, a margine del forum, si é decisa l’estensione dell’aereoporto di Toamasina ad opera dell’Anhui Foreign Economic Construction Co e il rinnovamento della tratta ferroviaria Fianarantsoa- costa est da realizzarsi da parte della China Railway Construction Corporation.
I progetti, che si avvarranno di finanziamenti misti tra l’Eximbank China, una delle tre banche istituzionali cinesi il cui compito è implementare le politiche di Pechino nel mondo, lo stato malgascio e alcuni finanziatori internazionali, rappresentano un nuovo tassello della cooperazione economica tra il paese africano e la Cina che ha già investito qualcosa come 740 milioni di dollari in Madagascar solamente.
Principale partner commerciale del Madagascar, la Cina ha oggi più di 800 imprese attive sul territorio che ospita anche la seconda più grande comunità cinese in Africa, dopo quella del Sud Africa. Tassello fondamentale nel disegno geopolitico di Pechino, la grande isola è entrata di buon grado a fare parte del progetto della Nuova Via della Seta, la rotta commerciale che collega la Cina all’Eurasia, lo scorso anno.
Da parte sua, l’economia malgascia, secondo dati recenti della banca mondiale la più povera al mondo, è assetata di investimenti esteri e vede nel sostegno cinese la possibilità di uscire dallo stato di stagnazione economica a cui è ancorata dagli anni ’60 e che subisce i contraccolpi di una storia politica travagliata e conflittuale. E’ infatti grazie ai cinesi che il paese ha potuto migliorare le proprie povere infrastrutture ed estendere ad esempio la sua rete autostradale fino a collegare la capitale alla città di Toamasina, principale porto del paese o ancora avviare la costruzione del porto nella città di Narinda sul canale del Mozambico.
L’entusiasmo delle élite malgasce per la Cina non è però condiviso da gran parte della popolazione locale. Oggetto della discordia sono le mire cinesi sulle ingenti ricchezze naturali custodite nel sottosuolo del paese (giacimenti di petrolio e di gas naturale, oro, minerali e terre rare) e che le aziende cinesi si aggiudicano grazie all’ottenimento di concessioni pluridecennali da parte del governo.
La prima ondata di migrazione cinese, giunta nel paese ei primi del ‘900 si è poi nei decenni assicurata il monopolio nel commercio all’ingrosso della vaniglia, di cui il Madagascar è il primo esportatore mondiale e del palissandro, legno pregiato molto usato in Cina per costruire le copie dei mobili antichi, esacerbando così gli animi di chi si sente usurpato.
Già teatro nel 2011 e poi nel 2014 di proteste anticinesi, il Madagascar ha registrato nel 2016 l’ultimo grande episodio degno di nota. Scatenatesi nella cittadina mineraria di Soamahamanina, nel centro del paese, le proteste riguardavano la concessione da parte del governo all’azienda cinese Jiuxin dei diritti per lo sfruttamento di un giacimento d’oro per 40 anni. Un atto visto come n sopruso dalla popolazione locale, preoccupata anche per gli eventuali espropri di terre agricole e degli effetti ambientali delle attività minerarie. Dopo un fitto negoziato nel caso di Soamahamanina, i cinesi preferirono battere in ritirata ed evitare ulteriori conflitti. Difficile che la nuova ondata di investimenti cinesi nel paese si mostri così accorta e prudente.
Esperta di sostenibilità sociale e ambientale. Si è formata nel mondo della ricerca accademica (prima alla Fondazione Eni e in seguito all’Università Bocconi) ed é arrivata in Cina nel 2007. Negli anni cinesi ha lavorato come consulente e collaborato con diverse testate italiane online quali AgiChina e China Files per le quali ha tenuto il blog La linea rossa e la rubrica Sustanalytics oltre a curare il volume “Cina e sviluppo sostenibile, le sfide sociali e ambientali del XXI secolo, L’Asino d’oro (2015). Dopo una parentesi nel settore privato come Communications & Corporate Affairs Manager in Svizzera, é rientrata in Italia e ora vive a Milano.