La nostra rassegna quotidiana
Ombre cinesi sul Consiglio per i diritti umani dell’Onu
L’uscita degli Stati uniti dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite è stata accompagnata dai commenti piccati di Pechino. Se per il portavoce del ministero degli Esteri, la Cina continuerà a “collaborare con tutte le parti per contribuire a uno sviluppo sano dei diritti umani”, secondo la pubblicazione ufficiale dell’organo anticorruzione, la dipartita di Washington “pone l’immagine degli americani come difensori dei diritti umani sull’orlo del collasso”. Il caso degli immigrati messicani è l’ulteriore riprova dell’ipocrisia statunitense, aggiunge la testata alludendo alle paternali con cui Washington, dal massacro dell’89, si scaglia contro le violazioni oltre la Muraglia. Proprio recentemente l’alto commissario Zeid Ra’ad al-Hussein ha accusato la Cina di ostacolare le deposizioni dei dissidenti davanti agli organismi internazionali, sottolineando il “rapido deterioramento” della situazione nelle regioni autonome del Tibet e dello Xinjiang. Secondo William Nee di Amnesty International il ripiegamento dell’America finirà per lasciare campo aperto alla Cina, la cui influenza nelle istituzioni multilaterali è in crescita.
Gli attacchi laser contro gli Usa raggiungono il Pacifico
Secondo il WSJ, nel Pacifico occidentale si sono registrati oltre 20 attacchi laser contro aerei americani da settembre a oggi. L’area interessata è quella intorno al Mar cinese orientale, frequentata assiduamente da navi militari e civili battenti bandiera cinese. La paternità dell’offensiva non è stata completamente accertata, ma quanto accaduto nel Pacifico ricordo episodi simili lamentati dai piloti statunitensi a Gibuti, dove Pechino ha stabilito la sua prima base militare oltremare. La differenza sta nella tipologia del laser impiegato: per uso militare in Africa e commerciale nel Pacifico. La notizia arriva mentre in Cina si estende il caso dei presunti “attacchi sonori” contro diplomatici americani ed è probabile sarà argomento di discussione durante l’imminente trasferta cinese del segretario alla Difesa Jim Mattis.
La Cina lancia un’università dedicata al nucleare
La Cina lancerà una nuova università dedicata alla ricerca nel settore nucleare, affetto da grave carenza di personale specializzato ma sempre più centrale nella lunga marcia verso le fonti energetiche pulite. Il progetto, nato da un accordo tra la China National Nuclear Corporation (CNNC) e la municipalità di Pechino, prevede master e corsi di dottorato. L’obiettivo è quello di rendere Tianjin una base tecnologica di alto livello per gli sviluppatori, promuovendo al tempo stesso una conversione della città verso le industrie innovative. Al momento l’energia nucleare copre solo il 3% del fabbisogno nazionale. Al momento la Cina ha in attivo 37 reattori mentre altri 19 sono in costruzione.
Caterpillar, Volvo e Komatsu implicati nello sfruttamento dello stato Kachin
Caterpillar, Volvo e Komatsu sono corresponsabili degli abusi perpetrati dalle compagnie minerarie birmane contro le comunità locali. Secondo quanto emerge da una ricerca dell’organizzazione svedese Swedwatc, land grabbing, danni ambientali e conflitti armati sono ormai la normalità nello stato Kachin, ricco di pietre preziose, dove le tre società sono presenti con la vendita di macchinari.“Dall’inizio degli anni 2000, il drastico aumento dell’uso di macchinari pesanti in Myanmar ha permesso l’estrazione di minerali a una velocità senza precedenti”, spiega Swedwatch. Da quando nel 2015 una frana in una miniera di giada ha causato la morte di 100 persone il governo guidato da Aung San Suu Kyi ha promesso controlli serrati. Ma le operazioni estrattive continuano a fare vittime, 14 soltanto lo scorso mese.
Sudcoreani contro rifugiati yemeniti
Monta il malcontento nei confronti dei rifugiati yemeniti, sbarcati sull’isola sudcoreana di Jeju. Dopo soli cinque giorni dalla sua pubblicazione, ha ormai superato quota 220mila firme la petizione che chiede alla Casa Blu la deportazione degli sfollati in fuga dalla nazione lacerata dalla guerra tra Sunniti e Sciiti. Si tratta di cittadini yemeniti fuggiti in prima battuta in Malaysia — dove non è richiesto il visto — e una volta scaduto il permesso di soggiorno costretti a partire alla volta di Jeju, collegata a Kuala Lumpur da voli low cost e caratterizzata a sua volta — fino al 1 giugno — da un regime d’immigrazione particolarmente tollerante. Dei 561 yemeniti giunti quest’anno 519 hanno richiesto lo status di rifugiato. Ma l’intolleranza verso i cittadini di religione musulmana mixata al proliferare sui social della teoria che vedrebbe i nuovi arrivati come una minaccia per il mercato del lavoro non qualificato ha aizzato il risentimento dei sudcoreani.