I titoli della rassegna di oggi:
Muro di Trump e Grande Muraglia
Sul web cinese impazzano finti tweet by Donald Trump
Cina, quinta al mondo per trasferimenti nel calcio
Marcia indietro di Duterte sulle basi statunitensi
Seul e Tokyo divise da una statua Muro di Trump e Grande Muraglia
Donald Trump vuole costruire "un muro" che separi Usa e Messico (vorrebbe pure farlo pagare ai messicani) e i paragoni con la grande Muraglia cinese si sprecano: lo stesso Trump ha parlato di "Great Wall" e i grandi imprenditori del cemento Usa godono facendo paragoni e pensando ai profitti
Ma cosa avrebbero in comune le due grandi opere? La Grande Muraglia è infinitamente più lunga dell’eventuale muro trumpiano, ma due sembrerebbero gli elementi in comune: entrambi graverebbero sulle spalle dei contribuenti e sarebbero inutili a difendere i confini. Intanto, la Cina – dato che di inutili ma molto simboliche muraglie se ne intende – coglie l’attimo. Ant Financial, che fa parte del gruppo Alibaba, ha comprato MoneyGram, il principale servizio di money-transfer usato dai migranti messicani negli Stati Uniti, proprio mentre la compagnia subisce l’attacco delle politiche xenofobiche di Trump.
Sul web cinese impazzano finti "tweet" by Donald Trump
Da qualche giorno a questa parte i netizen cinese si stanno riversando su un sito che permette di generare finti "tweet", in inglese e in cinese, come se a scriverli fosse Donald Trump, ovvero con l’account @realdonaldtrump e lo stesso avatar del tycoon. Secondo Jike, start up con base a Shanghai che fornisce il servizio, nel giro di cinque giorni sono stati generati oltre un milione di tweet fake, con fine prevalentemente ludico. "@realdonaldtrump augura a tutti un buon anno cinese", scrive un utente, "@realdonaldtrump vuole comprare una jianbing (tipico snack cinese) e vuole che a pagare sia il Messico", cinguetta un altro. Mentre l’uccellino Larry risulta bandito oltre la Muraglia, le principali accuse di Trump contro la Cina sono state diramate proprio attraverso la piattaforma di microblogging, tanto da aver indotto l’agenzia di stampa Xinhua a criticare aspramente "la politica estera via Twitter" del nuovo presidente americano.
La moda dei finti tweet stride con l’agguerrita campagna contro i rumor lanciata da Pechino per ripulire il web e imbavagliare le voci scomode. Il fatto è che non tutti i rumor vengono per nuocere. Come spiega un recente articolo di Foreign Policy, la censura cinese è solita mantenere la maglia larga quando si tratta di notizie infondate riguardanti paesi "avversari", come le teoria complottistiche sulla Clinton impazzate nei mesi precedenti alle presidenziali Usa.
Cina, quinta al mondo per trasferimenti nel calcio
Il campionato cinese è dietro soltanto alle quattro grandi serie europee in quanto a valore dei trasferimenti nel mercato calcistico. Il governo si sta muovendo per porre un freno a ingaggi e acquisti. Nel 2016, secondo i dati della Fifa, i club cinesi hanno speso 451 milioni, un aumento del 168,2 per cento sull’anno precedente. Le autorità centrali, pur sostenendo lo sviluppo dello sport per trasformare il Paese in una potenza calcistica, temono lo scoppio di una bolla. L’ultima spia in ordine di tempo è la valutazione del Beijing Guo’an. Il 64 per cento del club è stato ceduto per 3,6 miliardi di yuan, portando la valutazione a 5,6 miliardi, pari a 754 milioni di euro, ossia più del Milan o dell’Atlético Madrid
Marcia indietro di Duterte sulle basi statunitensi
Contrordine. Gli Stati Uniti potranno espandere la loro presenza militare nelle Filippine. Le dichiarazioni del ministro della Difesa, smentiscono quanto annunciato lo scorso anno dal presidente Rodrigo Duterte, deciso all’epoca a far sì che le truppe Usa lascino l’arcipelago entro due anni. Dichiarazioni dettate dallo scontro tra l’ex sindaco di Davao e l’ex presidente statunitense Barack Obama, critico contro la campagna anti-droga e le uccisioni extra-giudiziali sostenute da Manila. Il clima con la nuova amministrazione Trump sembra cambiato. L’accordo di cooperazione militare firmato nel 2014 consente a Washington di schierare navi, aerei e truppe nelle basi.
Seul e Tokyo divise da una statua
Una statua di un Buddha rubata nel 2012 da un tempio giapponese e portata in Corea del Sud non dovrà essere restituita al Giappone. L’opera d’arte in bronzo infatti fu trafugato secoli fa dai pirati nipponici. Lo ha stabilito il tribunale coreano di Daejeon mentre i due governi tentano di risolvere la questione per vie diplomatiche. Tokyo contesta la sentenza esortando la restituzione al più preso della statua fino a cinque anni fa custodita in un tempio a Tsushima, ma rivendicata anche dal tempio sudcoreano di Buseoksa. L’ennesimo contenzioso storico tra Seul e Tokyo, divise dalla questione delle donne di conforto, ossia le ragazze costrette a prostituirsi per le truppe imperiali durante la Seconda Guerra Mondiale, e dalla memoria per l’occupazione nipponica della Corea nella prima metà del Novecento.