In Cina e Asia – Trump e Xi Jinping promettono cooperazione

In by Gabriele Battaglia

I titoli della rassegna di oggi:

– Donald Trump e Xi Jinping si sono parlati
– A Hong Kong (ri)scendono in piazza i pro-Pechino
– La Cina avverte Trump: l’accordo sul clima non si tocca
– In Cina rapire il proprio figlio aiuta a ottenere l’affidamento 
– Seul in strada contro la presidente Park
– Myanmar: altri 30 morti e altrettanti arresti nello stato Rakhine
Donald Trump e Xi Jinping si sono parlati

Questa mattina i due presidenti hanno avuto la loro prima conversazione telefonica, volta a dissipare i timori che il ricambio alla Casa Bianca possa portate a una possibile rottura tra le due superpotenze mondiali. Facendo il punto sulle relazioni bilaterali Xi Jinping ha detto al proprio omologo che «la cooperazione è l’unica scelta corretta per Cina e Stati Uniti», mentre il 45esimo presidente americano avrebbe risposto che, sotto la propria amministrazione, «le relazioni certamente raggiungeranno un maggiore sviluppo». Nella sua prima intervista ufficiale alla Cbs Trump ha confermato di voler andare avanti con la costruzione del muro lungo il confine con il Messico. A Pechino si chiedono se l’imprenditore sarà altrettanto risoluto nel mettere in pratica quanto affermato in campagna elettorale: ovvero tariffe del 45% sul Made in China e pugno di ferro contro le manipolazioni valutarie di cui Pechino è accusato. 

A Hong Kong (ri)scendono in piazza i pro-Pechino

Ancora proteste a Hong Kong. Stavolta è il fronte filocinese a far sentire la propria voce, già autore di una simile iniziativa in scala minore alcune settimane fa. Nella giornata di domenica – secondo gli organizzatori- oltre 40mila persone hanno manifestato davanti ai palazzi governativi per opporsi alle nuove forze politiche indipendentiste. I dimostranti hanno appoggiato la decisione del parlamento cinese di squalificare i deputati localisti eletti a settembre e colpevoli di aver pronunciato in maniera ingiuriosa il giuramento necessario al loro ingresso formale nel Consiglio Legislativo di Hong Kong. L’intervento di Pechino è stato da molti letto come un’ingerenza sul sistema giudiziario locale che vanta una certa autonomia da quando l’ex colonia britannica è tornata alla Cina nel 1992. La scorsa settimana un sit-in analogo era stato organizzato in chiave anticinese. Il Chief Executive ha affermato ai media che non lascerà mai che «gli indipendentisti compaiano nel sistema politico locale», mentre venerdì il presidente cinese Xi Jinping si è espresso a favore dell’unità nazionale in chiaro riferimento ai casi di Taiwan e Hong Kong.

La Cina avverte Trump: l’accordo sul clima non si tocca

Protezionismo ma non solo. La variabile Trump apre diverse incognite sul futuro delle relazioni Cina-Usa. A preoccupare è sopratutto la possibilità non troppo remota che il nuovo inquilino della Casa Bianca faccia un passo indietro sull’accordo di Parigi considerato uno dei principali successi delle amministrazioni di Xi Jinping e Barack Obama. Il monito arriva da Marrakesh dove la scorsa settimana si è tenuta la prima tornata di colloqui dopo la sigla dell’intesa di dicembre. Durante la campagna elettorale Trump ha più volte affibbiato alla Cina la responsabilità per una serie di problemi che affliggono la società americana, arrivando persino a definire il cambiamento climatico una «stronzata» inventata dai cinesi per danneggiare l’industria americana.
Se una volta insediatosi nello Studio Ovale il 45esimo presidente americano deciderà effettivamente di rescindere dall’accordo i tempi tecnici prevedono almeno 4 anni di attesa a meno che Trump non decida di abbandonare anche il UN Framework Convention on Climate Change, in questo caso le tempistiche sarebbero accorciate ad appena un anno.

In Cina rapire il proprio figlio facilita un genitore nell’ottenere l’affidamento 

Nel Paese di Mezzo il numero di divorzi continua ad aumentare esponenzialmente e la questione dell’affidamento è motivo di grandi apprensioni. Di solito i tribunali cinesi concedono l’affidamento soltanto a un genitore mentre all’altro viene permesso il diritto di fare visita al bambino. Nel caso in cui i figli sono più di uno normalmente vengono divisi tra la madre e il padre, mentre l’affidamento congiunto è raro. Dal momento che i tribunali sono più inclini a lasciare i bambini nella situazione abitativa di partenza, un escamotage adottato da molti genitori è proprio quello di sottrarre il figlio al consorte prima del divorzio. Nonostante sia stata recentemente introdotta una legge contro le violenze domestiche, il problema dei soprusi in famiglia raramente viene avanzato in caso di affidamento. Ad aggravare la situazione si aggiunge il fatto che spesse volte le autorità fanno ben poco per accertarsi che la sentenza venga rispettata.

Seul in strada contro la presidente Park

Nella giornata di sabato centinaia di migliaia di manifestanti hanno alluvionato le strade di Seul per chiedere le dimissioni della presidente Park, ormai rasoterra nei sondaggio sull’indice di gradimento popolare. La ragione delle proteste di piazza, anticipate nelle scorse settimane da simili sit-in, è sempre la stessa: il rapporto poco limpido che lega la presidente alla sciamana Choi Soon-sil (da cui sarebbe plagiata e manovrata come un burattino) finita agli arresti all’inizio di novembre. Nemmeno il rimpasto dell’esecutivo è bastato a placare il malumore popolare. A scendere in strada sono stati studenti, pensionati e persino giovani coppie con bambini. Gli organizzatori della manifestazione parlano di un milione di partecipanti. Intanto -secondo l’agenzia Yonhap- i pubblici ministeri starebbero indagando sul ruolo svolto da Park nei finanziamenti dei chaebol alle fondazioni manipolate da Choi e finite al centro dello scandalo.


Myanmar: altri 30 morti e altrettanti arresti nello stato Rakhine

Sabato mattina circa 60 aggressori armati di pistole, coltelli e lance hanno fatto un’imboscata alle truppe governative di stanza nello stato Rakhine da quando lo scorso 9 ottobre attacchi coordinati hanno preso di mira alcuni posti di frontiera al confine con il Bangladesh. Secondo le autorità le violenze sarebbero state coordinate da gruppi islamici operanti all’estero, ma i locali attribuiscono parte del problema al clima di terrore seminato dall’esercito birmano nei villaggi dove vive la minoranza islamica rohingya non riconosciuta da Naypyidaw. L’area – che è stata chiusa ai giornalisti e alle associazioni umanitarie- era già stata scenario di scontri razziali tra buddhisti e musulmani nel 2012. Dal 9 ottobre i decessi nel corso delle operazioni di bonifica sarebbero 60 per gli aggressori e 27 per le forze di sicurezza.