Giornate piuttosto convulse a Hong Kong: dopo il tentativo effettuato a metà ottobre di giurare nel nuovo parlamento dell’ex colonia inneggiando all’indipendenza di Hong Kong, due giovani deputati hanno riprovato l’incursione. Ne è scaturita una zuffa e più tutta una polemica politica dai toni altissimi. E il chief executive di Hong Kong ha sostanzialmente chiesto l’intervento di Pechino, chiamata a interpretare la Basic Law dell’ex colonia.I fatti sono i seguenti: la quarta seduta del parlamento locale tenuta dalle elezioni del 4 settembre, è stata aggiornata replicando gli scenari di proteste dei gruppi pro-Pechino, intenzionati a sbarrare la strada ai «ribelli», e di quelli pro-democrazia, favorevoli al contrario a concedere un’altra opportunità.
La vicenda è cominciata lo scorso 12 ottobre, alla prima riunione del parlamento locale: Leung e Yau esibirono striscioni «Hong Kong non è Cina» e hanno deciso di storpiare il giuramento di rito ricorrendo a insulti verso la Repubblica popolare cinese.
Lo stallo prolungato ha spinto il «chief executive» dell’ex colonia britannica Leung Chun-ying a chiedere a Pechino come sbloccare la crisi istituzionale, mentre il tribunale locale potrebbe dire qualcosa al riguardo, prima dell’intervento di Pechino.
La mossa di Leung – secondo gli analisti – inasprirebbe gli animi a causa della temuta «ingerenza di Pechino» nelle vicende dell’amministrazione autonoma di Hong Kong, basata sul principio «un Paese, due sistemi» Sixtus “Baggio” Leung e Yau Wai-ching sono due giovani neo deputati eletti nelle fila di Youngspiration uno dei partiti anti Pechino che ha ottenuto un buon successo elettorale alle ultime consultazioni dell’ex isola.
I due già il 12 ottobre erano stati interdetti perché avevano tentato di giurare definendo Hong Kong una «nazione» e ridicolizzando la Cina, pronunciata come «Shina», ovvero come veniva chiamata dai giapponesi durante l’occupazione. Una mancanza di rispetto che ha raccolto critiche severe tanto a Hong Kong quanto in Cina.
Proprio mentre era radunato il Sesto plenum del partito comunista, infatti, pare che i leader del partito abbiano dedicato qualche attenzione al tema. La situazione è – se possibile – peggiorata mercoledì, quando i due hanno tentato nuovamente di entrare in una sala da cui erano stati interdetti, creando un tafferuglio e una generale situazione di confusione.
Il problema – per loro e non solo – è che il chief executive di Hongk Kong, C.Y. Leung, ha sostanzialmente chiesto a Pechino di intervenire, un caso raro accaduto solo cinque volte nella storia dei rapporti tra Hong Kong e Cina, per interpretare al meglio la legge dell’ex colonia e decidere dunque il da farsi.
La situazione potrebbe diventare davvero esplosiva: l’eventuale intervento di Pechino rafforzerebbe i pro indipendentisti che da sempre denunciano una eccessiva ingerenza della Cina negli affari dell’isola. Allo stesso modo un intervento di Pechino rafforzerebbe, al momento, la leadership di Leung, ma alla lunga lo metterebbe in una situazione di difficoltà dato il scetticismo strisciante nei confronti di Pechino e visto l’appuntamento elettorale decisivo del marzo 2017.
Pechino dal canto suo ha già fatto sapere – tramite i media di stato – di considerare quello dei due giovani deputati un affronto non sopportabile. Ora tutto è nelle mani dei giudici dell’ex colonia.
[Scritto per Eastonline]