Veterani pretendono un futuro senza divisa

In by Gabriele Battaglia

Nella giornata di martedì migliaia di persone si sono radunati davanti al ministero della Difesa, nel centro di Pechino, per richiamare l’attenzione del governo sul problema delle indennità e delle pensioni di base dei veterani. A circa un anno dall’avvio della riforma dell’esercito voluta da Xi Jinping, il sit-in riporta l’attenzione sul precariato in divisa, 

Nella giornata di martedì migliaia di manifestanti in divisa si sono radunati davanti al ministero della Difesa, nel centro di Pechino, per richiamare l’attenzione del governo sul problema delle indennità e delle pensioni di base dei veterani. Al coro «l’unione è la nostra forza», i presenti hanno sventolato bandiere della Repubblica popolare ed esposto striscioni di denuncia: «I nostri benefit e il nostro diritto ad essere trasferiti da un impiego militare ad un lavoro civile sono stati violati», recita uno slogan.

Mentre frequenti ricambi nel personale della Commissione militare centrale (il più alto organismo direttivo dell’esercito supervisionato dal Partito) hanno causato incongruenze nella distribuzione degli indennizzi destinati ai soldati in pensione, un massiccio sfoltimento delle farraginose forze armate minaccia di lasciare 300mila soldati senza uno stipendio, circa il 13 per cento dei complessivi 2,3 milioni di membri che compongono l’Esercito popolare di liberazione. Avvertimenti contro le possibili ricadute del progetto hanno scandito le uscite del quotidiano militare Pla Daily fin dallo scorso autunno. 

La variegata composizione dei partecipanti attesterebbe la natura trasversale delle recriminazioni: ufficiali di basso rango, soldati regolari, ma anche reduci del Vietnam hanno lamentato l’abbandono del Partito-Stato. Una bella gatta da pelare per Pechino impegnato in una ristrutturazione del modello di crescita che prevede tagli nei settori in affanno, dal comparto industriale al settore minerario, passando appunto per le forze armate. 

Secondo Radio Free Asia, molte delle fonti interpellate sul posto hanno dichiarato di aver imbracciato le armi con la promessa – mai mantenuta – di un impiego nel servizio civile una volta smobilitati. «Mi sono iscritto nell’esercito nel 1976 e nel 1988 sono stato rimosso dall’incarico. All’inizio non era nemmeno troppo male, ma poi sono cominciati i licenziamenti nelle fabbriche e ci è stato detto di andarcene. Ci hanno lasciato con 400 yuan», racconta uno dei manifestanti, che porta il numero dei partecipanti a 20mila-30mila persone. Stando a un reduce del Vietnam, la situazione è peggiorata da quando nel 2007 Pechino ha cominciato a distinguere i veterani urbani da quelli residenti nelle aree rurali. «Da quel momento hanno smesso di trattarci come cittadini», spiega l’uomo. «Non avevamo più niente. Non ci restava che affidarci ai sussidi di assistenza sociale. Solo una volta fatta richiesta di assistenza sociale si può accedere agli aiuti statali».

I presenti, di età superiore ai trent’anni, provenivano da una decina di città e province differenti.  Alcuni sono stati bloccati dalle forze dell’ordine mentre erano in procinto di partire alla volta della capitale. Secondo quanto riporta l’Associated Press, centinaia di poliziotti e agenti in borghese hanno cinto il sit-in cercando di nasconderlo agli occhi dei passanti, senza tuttavia adoperare le manette..

Nonostante sia proseguita fino a sera, la manifestazione non ha trovato posto sulla stampa cinese, mentre le ricerche su Weibo di parole chiave come «tagli nell’esercito» fino a ieri davano soltanto risultati risalenti a molti mesi fa.

Il welfare cinese si trova a dover sostentare almeno 6 milioni di veterani, migliaia dei quali negli ultimi anni hanno ricorso a varie forme di protesta a causa dei sussidi statali ritenuti insufficienti. Quanti hanno tentato di far valere le loro richieste attraverso mezzi legali sono finiti agli arresti o sono stati sottoposti ad una rigida sorveglianza. Nel settembre dello scorso anno, oltre mille veterani sono stati trattenuti dalla polizia mentre protestavano davanti ai palazzi del potere per motivazioni analoghe. Un sit-in su scala minore era andato in scena la scorsa primavera alla vigilia dell’annuale riunione dell’Assemblea nazionale del popolo, e in tutto dall’inizio del 2016 sarebbero già oltre 50 le mobilitazioni coordinate da veterani.

Nel tentativo di rabbonire i reduci lo scorso marzo Pechino non solo ha stanziato 6,1 miliardi di dollari in indennità per i soldati smobilitati (un aumento del 13 per cento rispetto al 2015), ma ha anche lanciato il sito www.81kx.com, mirato a sostenere il reimpiego dei militari licenziati nell’ambito della riforma dell’esercito.

Tra inquinamento rampante e crescita economica in rallentamento, negli ultimi anni manifestazioni e lamentele hanno attraversato trasversalmente la società cinese, tuttavia, il malcontento dei veterani implica più rischi politici dal momento che si tratta di una categoria che gode di una certa autorità a livello popolare e vanta un’organizzazione capillare in tutto il paese grazie ai vincoli di lealtà tra compagni d’arme. Senza contare che – come fa notare sul Wall Street Journal Neil Diamant, docente del Dickinson College – «a differenza di molti altri gruppi sociali, i soldati sono addestrati nell’utilizzo delle armi. E poi non è bello vedere ampi assembramenti di veterani in divisa, spesso persino decorati, protestare pubblicamente».