Di Eterno a Pyongyang c’è soltanto il Presidente

In by Gabriele Battaglia

Il sistema ideologico nordcoreano ha più punti in comune con il cristianesimo di quanto si pensi. Anche per  questo la fede fa breccia tra gli esuli e i rifugiati che trovano in chiese e congregazioni un sostegno, sotto cui a volte si cela una propria agenda. Con rischi per chi vuole portare il Vangelo a Nord del 38esimo parallelo. Dalla finestra del Peter’s Coffee Shop di Dandong si vede la Corea del Nord. Il locale è sul lungo fiume della città nella Cina nordorientale, al confine con il regime. Un centinaio di metri più in là inizia il ponte dell’Amicizia sulla cui linea monorotaia viaggiano merci e transfrontalieri nordcoreani che vanno a lavorare per le imprese cinesi.

Il proprietario del Peter’s Coffeee Shop è Kevin Garratt, cittadino canadese da trent’anni in Cina, gli ultimi due passati agli arresti con l’accusa di spionaggio e liberato soltanto nei giorni successivi al G20 ospitato ad Hangzhou per merito del lavoro diplomatico del premier Justin Trudeau. Oltre a servire caffè e dolci ai visitatori, Garratt faceva parte di una missione cristiana, con l’intento di dare assistenza e pasti ai nordcoreani lungo il confine.

Tempo fa in rete circolava anche un suo presunto sermone, ora rimosso. Garratt attribuiva a dio la scelta di trasferirsi a Dandong e sosteneva che la maggioranza dei nordcoreani che aveva incontrato sarebbero anche potuti rimanere in Cina, ma decidevano di tornare indietro per portare il Vangelo ai loro connazionali ancora sotto il regime dei Kim. Le organizzazioni religiose nordcoreane esistono, ma di fatto sono soltanto cinghie di trasmissione della propaganda di Pyongyang, la cui vera fede è nel juche, il sistema dell’autosufficienza che Kim Jong Il contribuì a far assurgere a ideologia per idealizzare la figura del padre e fondatore della patria Kim Il sung, assicurandosi in questo modo la successione al potere.

Nella pratica il regime è considerato uno dei peggior persecutori della libertà di culto nonostante proprio l’Eterno presidente Kim Il Sung fosse figlio di un pastore presbiteriano e una delle chiese della capitale sia dedicata alla madre, Kang Ban Sok, il cui non deriverebbe da una delle prime traduzioni in coreano di Pietro.

Nella rubrica Ask a North Korean tenuta dal sito NK News un rifugiato scappato da Pyongyang nel 2005 tracciava diverse analogie tra il cristianesimo e il socialismo, così come concepito dai Kim. I dieci principi per un’unica ideologia dell’Eterno leader sono un rimando ai comandamenti di Mosè. L’architrave dinastica del regime poggia sulle figure del padre e del figlio. La scelta di conferire al defunto Kim Il Sung la carica perpetua di presidente rimanda al concetto di immortalità. È affinità con la religione hanno anche il continuo richiamo alla confessione e al perdono del leader.

Il messaggio biblico portato dai gruppi cristiani ha quindi presa facile sui chi fugge dal Nord e al Nord a volte torna come missionario, con il rischio di essere condannato a morte. Senza nulla levare alla volontà di aiutare i profughi e i disertori, anche i gruppi cristiani o almeno alcuni di essi, rischiano di sfruttare chi vorrebbero proteggere come un strumento per portare avanti una propria agenda politica e alimentare la paranoia del regime. Agli occhi del potere nordcoreano la religione diventa un’ideologia alternativa e quindi una minaccia all’unico fine che si pone: perpetrare sé stesso. Il semplice sospetto che le organizzazioni non governative confessionali siano infiltrare della Cia, come rivelato lo scorso anno da Intercept fomenta tali paure.

A farne le spese sono gli stranieri che improvvidamente si avventurano nel Paese con la Bibbia nel bagaglio e con l’intento di fare proseliti. Non è per caso quindi che a ogni arresto di uno straniero in Corea del Nord, in genere con passaporto statunitense o sudcoreano, spunti fuori un qualche collegamento a chiese o congregazioni.

Lo è Otto Warmbier, lo studente 21enne arrestato a gennaio per aver tentato di rubare un manifesto di propaganda («un crimine contro lo Stato») per portarlo come trofeo a una chiesa metodista dell’Ohio. Sorte simile  capitò al missionario americano, di origini coreane, Kenneth Bae condannato a 15 anni di lavori forzati, che trascorse in prigionia 735 giorni prima di essere scarcerato per ragioni di salute nel 2014.

È invece ancora in cella il pastore presbiteriano canadese, Hyeon Soo Lim, arrestato durante un viaggio per ragioni umanitarie e condannato all’ergastolo. L’accusa: volere rovesciare il governo con «attività religiose». 

[Scritto per il manifesto]