In Cina e in Asia – Ancora un avvocato in carcere in Cina

In by Gabriele Battaglia

I titoli della rassegna di oggi:

– L’avvocato di Ai Weiwei condannato a 12 anni
– Stranieri di classe
– Investitore porta la Consob cinese in tribunale
– Tokyo vuole un seggio permanente all’Onu
– Aung San Suu Kyi, prima all’Onu da leader L’avvocato di Ai Weiwei condannato a 12 anni

Continua in Cina la stretta contro gli avvocati impegnati nella tutela dei diritti civili e dello Stato di diritto. L’ultimo caso in ordine di tempo è la condanna di Xia Lin  a 12 anni di carcere con l’accusa di frode. La condanna per il legale, che difese anche all’artista e attivista Ai Weiwei, è una delle più pensanti contro il movimento degli avvocati per i diritti civili, nonché per questo genere di reato. Solitamente infatti la pena comminata si aggira attorno ai 7 anni. (per dareun metro di paragone, il premio Nobel Liu Xiaobo, a oggi forse il più noto dissidente cinese sta scontando 11 anni di carcere con l’accusa di sovversione).
Xia fu arrestato a novembre del 2014, quando stava per prendere le difese di Guo Yushan, numero uno del centro studi Transition Institute, reo agli occhi di Pechino di aver dato il proprio sostegno al movimento per il suffragio universale di Hong Kong.

Stranieri di classe

Dal prossimo primo novembre gli stranieri in Cina ricadranno sotto tre categorie: quelli classe A, di classe B e di classe C. La divisione rientra nel nuovo sistema di permessi lavorativi che il governo ha messo a punto con l’intento di attirare talenti nel Paese e controllare l’arrivo di troppi stranieri. Secondo il censimento del 2010 nella Repubblica popolare ci almeno 200mila lavoratori stranieri regolari, ma almeno il doppio sono quelli irregolari.

La classe A, secondo quanto spiega la stampa locale, include professionisti e «talenti innovativi e creativi». In seconda classe manager e tecnici o comunque quei professionisti che possono coprire per brevi periodi posizioni scoperte. L’ultima categoria è invece riservata ai lavoratori poco qualificati, il cui numero sarà limitato

Investitore porta la Consob cinese in tribunale per la trasparenza

La Consob cinese dovrà rispondere in tribunale dei fondi utilizzati per sostenere le borse durante la crisi dell’estate 2015. Il primo tribunale intermedio di Pechino ha infatti accettato la causa intentata da Xu Caiyuan, uno dei piccoli risparmiatori che animano i mercati azionari di Shanghai e di Shenzhen. La causa ruota attorno alle mancate risposte sull’utilizzo di risorse per 11 miliardi di dollari che furono iniettati nel sistema attraverso la China Securities Finance Corp per frenare la volatilità. Secondo Xu alcuni dei grandi attori di Stato chiamati a contribuire avrebbero già iniziato a vendere le azioni nonostante non possano farlo. Il piccolo investitore ha pertanto chiesto di sapere se la Csf ha preservato il proprio portafoglio. Vedo la sua richiesta respinta si è quindi rivolto in tribunale

Tokyo vuole un seggio permanente all’Onu

Il Giappone non demorde dalla speranza di una riforma delle Nazioni Unite che possa garantirgli un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza. Lo scrive in un saggio lo stesso primo ministro Shinzo Abe, spiegando quello che a suo dire è il contributo nipponico allo sviluppo globale e alla pace. Tokyo è il secondo Paese donatore, avendo contribuito con 330 miliardi di dollari in assistenza allo sviluppo. La riforma del Consiglio di sicurezza si è arenata anche per le resistenze dei cinque componenti permanenti: Usa, Cina, Russia, Francia e Gran Bretagna. Pressioni arrivano anche da altre potenze emergenti che aspirano a un posto, l’India ad esempio o il Brasile.

Aung San Suu Kyi, prima all’Onu da leader

Aung San Suu Kyi ha tenuto il suo primo discorso all’Onu da leader birmana. La Lady ha difeso gli sforzi del suo governo nel tutelare la minoranza musulmana perseguitata dei rohingya. «Non temiamo l’attenzione della comunità internazionale», ha detto Suu Kyi, «siamo impegnati per raggiungere una soluzione sostenibile». I rohingya sono stati negli scorsi anni bersaglio di persecuzioni e attacchi che hanno fatto oltre 100 morti perché ritenuti immigrati illegali dal vicino Bangladesh. Il governo birmano ha affidato all’ex segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, la guida di una commissione per valutare la tutela dei diritti e della sicurezza dei rohingya. La stessa Suu Kyi ha comunque ammesso l’esistenza di resistenza contro questa iniziativa.