L’omosessualità in Cina è stata esclusa dalle «malattie mentali» fin dal 2001. Eppure in alcuni libri di testo dei corsi universitari di psicologia e altre materie scientifiche, l’omosessualità viene descritta come «un anomalo disordine mentale», equiparandola alla pedofilia. Addirittura uno di questi libri di testo elenca alcuni «rimedi» per porre fine alla «malattia». Ma una ragazza, alla testa di un piccolo gruppo di attivisti, ha denunciato il caso.Negli ultimi tempi è innegabile il raggiungimento di risultati importanti, in termine di opinione pubblica, da parte della comunità Lgbtq cinese. L’omosessualità non è più considerata una malattia mentale, in teoria dal 2001, alcuni tribunali hanno colpito le cliniche che promettono di «guarirla» e più in generale il governo ha deciso di fare finta di niente.
Ufficialmente vige la «politica dei tre no»: non si approva, non si disapprova, non si promuove; ma la strada è ancora lunga. Rimane infatti radicato il pregiudizio in una società tradizionalmente rurale e conservatrice in termine di costumi.
In Cina è ancora considerato importante sposarsi, nell’ottica confuciana che vede la famiglia come perno di stabilità sociale, con i suoi rapporti rigidi e gerarchici che non prevedono «stranezze».
L’avventura di Qiu Bai, la giovane studentessa che ha intrapreso una battaglia legale contro i pregiudizi, tanto più perché espressi i testi universitari, è un ennesimo segnale che in Cina la comunità Lgbtq è uscita ormai allo scoperto, desiderosa di affermare i proprio sacrosanti diritti.
«Dal 2001, ha affermato la giovane studentessa, quando l’omosessualità è stata declassificata come una malattia in Cina, il 40 per cento del materiale didattico cinese afferma ancora che l’omosessualità è una malattia».
Una volta scovati i testi dei libri che affiancano l’omosessualità alla pedofilia o al sesso con animali o con cadaveri, Qiu Bai, studentessa all’università di Guangzhou, ha provato a denunciare il fatto. Prima si è mossa contro la casa editrice, poi contro le università e infine è andata a Pechino.
La sua udienza nella capitale, per lei che arriva da Canton, è durata meno di mezz’ora e fuori l’aspettavano alcune persone solidali con la sua lotta. Il problema è che né il ministero dell’educazione, né alcun organo statale ha preso in minima considerazione la sua causa.
Eppure si tratta di un enorme passo indietro: se «informalmente» nella società cinese l’omosessualità viene tollerata, nei testi scolastici di psicologia si consiglia a chi ha «pensieri» da omosessuale da porre rimedi, tra i quali anche l’amore platonico o le terapie shock, oppure cambiare radicalmente luogo di vita.
Addirittura all’udienza non si è neanche presentato un avvocato. Come ha raccontato il legale di Qiu Bai, «penso che il ministero della pubblica istruzione deve essere abbastanza sicuro di aver ragione, visto che i suoi due rappresentanti oggi non si sono presentati. Speravamo potessero assumere almeno un avvocato, in modo da poter avere un dialogo professionale adeguata».
In realtà già ottenere un’udienza è preso come un successo, dato che in passato – fin dal 2015 – la giovane, Qiu Bai ha 21 anni, aveva provato a rivolgersi sia alle autorità sia alle case editrici dei libri in questione, senza ottenere alcuna risposta.
[Scritto per Eastonline]