Il controverso ricordo di Mao a 40 anni dalla morte

In by Gabriele Battaglia

Venerdì migliaia di persone sono confluite a Shaoshan, città natale di Mao Zedong, per ricordare il defunto presidente a 40 anni dalla morte. Ma mentre il ricordo del leader rimane vivo nel cuore di molti, la leadership guidata da Xi Jinping sembra aver optato per il silenzio. Mao rimane un idolo immortale per quanti ritengono che i trent’anni di riforme denghiste abbiano portato a distorsioni sociali quali una crescente ineguaglianza sociale e la rampante corruzione che affligge la gerarchia comunista. Questioni che Pechino teme possano mettere in crisi la propria legittimità.
La liturgia del Partito vuole che ad essere celebrati siano i compleanni dei leader, non le loro morti. Una tradizione che non sembra aver impedito alla pancia del paese di mostrare il proprio cordoglio a 40anni dalla dipartita del fondatore della Repubblica Popolare.

Venerdì migliaia di persone sono confluite a Shaoshan, città natale di Mao Zedong, per ricordare il defunto presidente. Le commemorazioni sono cominciate nella tarda serata di giovedì con una dozzina di visitatori riuniti ai piedi della statua in bronzo alta dieci metri che veglia su piazza Mao Zedong dal 1993, quando l’allora presidente Jiang Zemin partecipò al taglio del nastro proprio in occasione del centenario dalla nascita del Grande Timoniere. Poco dopo la mezzanotte lamenti di dolore e canzoni rivoluzionarie hanno rotto il silenzio della notte, mentre i piedi della statua sono stati coperti di corone di fiori e altre offerte, dai liquori alle sigarette che tanto piacevano al padre della Patria.

Centinaia di veterani della Guerra sino-vietnamita e imitatori di Mao in abiti tradizionali sono stati avvistati tra la folla, che i residenti hanno definito ai microfoni del South China Morning Post «la più numerosa da almeno dieci anni a questa parte». Chi impossibilitato a raggiungere Shaoshan ha comunque avuto l’opportunità di fare la propria offerta attraverso una piattaforma online lanciata appositamente per l’occasione; crisantemi, sigarette e piatti di maiale piccante (virtuali s’intende!) tra i regali più gettonati. Intanto una campagna lanciata in settimana sulla gettonatissima app WeChat per invogliare i netizen a ricordare il Grande Timoniere con fiori elettronici quest’oggi ha raggiunto 1,8 milioni di partecipanti.

Ma mentre tra i cittadini la memoria del leader è in molti casi ancora pregna di nostalgia e ammirazione, la reazione diffidente delle autorità rispecchia le difficoltà incontrate dalla leadership di Xi Jinping nel gestire lo spinoso passato maoista, gravato da 30 milioni di morti tra persecuzioni politiche e scelte economiche disastrose. Eppure così importante per cementare la legittimità del Partito. «Oggi ricorre il 40esimo anniversario della morte del presidente Mao. Ma ho provato a cercare informazioni online sulle commemorazioni senza trovare nulla», si lamenta contrariato un utente su Weibo, dove i commenti sono stati parzialmente censurati. Qualcun’altro, citato dal Wall Street Journal, soppesa la diversa copertura con cui i media di Stato nel 2014 hanno onorato la morte dell’ex presidente liberale Hu Yaobang (in confronto «oggi non si vede nemmeno un commento qui e là»), mentre c’è chi arriva a pensare che di questi tempi la vita del neomaoista sia più facile nella capitale del capitalismo deregolato Hong Kong piuttosto che nella mainland del «socialismo con caratteristiche cinesi». Non che la distanza geografica si traduca necessariamente in una maggiore tolleranza. La leadership ha dichiaratamente preso le distanze da una serie di controversi eventi promossi oltremare per celebrare la ricorrenza, mentre due concerti sono stati cancellati a Sydney e Melbourne al sopraggiungere di critiche da parte della diaspora cinese.

Mao rimane un idolo immortale per quanti ritengono che i trent’anni di riforme denghiste abbiano portato a distorsioni sociali quali la crescente ineguaglianza sociale e la rampante corruzione che affligge la gerarchia comunista; si stava meglio (moralmente) quando si stava peggio (economicamente), insomma. Pechino ha ricucito l’immagine del padre della Patria, il cui controverso operato viene ufficialmente considerato «per il 70 per cento buono e per il 30 per cento cattivo»; il volto di Mao campeggia in piazza Tian’anmen e adorna le banconote cinesi di quasi ogni taglio. Ciononostante, l’appropriazione della figura del Grande Timoniere da parte delle frange dell’estrema sinistra ha messo in allarme la leadership di Xi Jinping, che pur attingendo a piene mani ad una tradizione ideologica «rosso sgargiante» teme i rischi di un effetto boomerang; il caso del populista nostalgico Bo Xilai insegna. E se è vero che il silenzio vale più di mille parole, è da considerarsi più che eloquente l’assenza del fondatore della Nazione dalle attività che venerdì hanno visto Xi visitare una scuola di Pechino in previsione dell’imminente festa degli insegnanti. 

Da tempo i siti web dell’ultrasinistra lamentano la stretta censorea delle autorità, mentre il South China Morning riporta un drastico rallentamento dell’industria delle statue di Mao, dopo lo splendore del periodo tra il 1997 e il 2003. «Appena pochi anni fa riuscivamo a fare 2 milioni di yuan di vendite all’anno, ma ormai incassiamo poco più di 1 milione», spiega Ou Xinhe, proprietario di Wangda Art Craft Manufacturer, laboratorio con base a Shaoshan.

Per contrastare la «disaffezione» pilotata dall’alto, lo scorso mese Wang Shiji, ex soldato nonché guardia rossa, ha lanciato il guanto di sfida alla leadership in carica, fondando il Defend Mao Zedong People’s Party. Si attendeva una partenza spumeggiante con l’avvio di un primo Congresso proprio questa settimana, poi la revoca improvvisa confermata alla Reuters via messaggio. Da allora di lui non si sono più avute notizie.