Il vertice di Hangzhou è servito alla Cina per rafforzare la fiducia in sé stessa. Il documento finale accoglie molte delle posizioni di Pechino, ma senza entrare in soluzioni concrete. Più del vertice in sé hanno contato i bilaterali. I cinesi però hanno fatto passi avanti nel ritagliarsi un ruolo nella governace economica globale. Quando Xi Jinping è salito sul podio per le battute finali del G20, la conferenza stampa del presidente cinese era già in ritardo di circa un’ora rispetto ai tempi previsti. Sullo slittamento può aver influito in parte la decisione, presa all’ultimo momento, di permettere a un maggior numero di giornalisti di assistere all’appuntamento. D’altra parte il summit di Hangzhou è stato il primo ospitato dalla Cina, pronta ad assumere un ruolo di primo piano nella gestione della governance globale.
La chiusura del summit sarebbe dovuta essere la passerella per le ambizioni di Xi. In parte è stato così, in parte il capo di Stato cinese si è visto rubare la scena dagli avvenimenti di giornata. Prima dal test balistico nordcoreano praticamente in contemporanea con le discussioni tra Pechino e Seul sul dispiegamento in Corea del Sud del sistema anti-missilistico Thaad che i cinesi considerano una minaccia nei propri confronti e che perciò osteggiano.
A stretto giro sono arrivati anche i risultati delle elezioni per il rinnovo del Consiglio legislativo di Hong Kong, nelle quali le forze filo-establishment e filo-cinesi hanno mantenuto la maggioranza, ma che allo stesso tempo hanno visto l’avanzata del campo pan-democratico e l’elezione di giovani attivisti provenienti dalle file del movimento degli ombrelli e per il suffragio universale schierati su posizioni anti-Pechino e propensi a una maggiore autonomia dell’ex colonia britannica rispetto alla Cina, quando non alla vera e propria indipendenza.
Da ultimo alcuni dei bilaterali hanno attirato l’attenzione più delle dichiarazioni di Xi. È il caso dell’accordo tra russi e sauditi per stabilizzare il prezzo del petrolio. Una dichiarazione congiunta capace di spingere al rialzo le borse, prima che fosse chiara la scarsa portata dell’intesa in vista dell’incontro informale in Algeria tra i Paesi produttori dell’Opec e per le aspettative su un possibile congelamento della produzione.
Lo stesso faccia a faccia tra il presidente cinese il premier nipponico Shinzo Abe, il primo dopo un anno di tensioni territoriali tra Cina e Giappone per la sovranità delle isole Senkaku o Diayu nel Mar cinese orientale, ha avuto grande risalto.
Comunque sia, più di altri capi di Stato e di governo Xi ha sentito il peso dell’appuntamento, così da rafforzare la sua immagine in Cina e all’estero. Presentando ai giornalisti i risultati del vertice il leader cinese ha sottolineato «l’ampio consenso» raggiunto.
I 48 punti del documento finale accolgono sotto diversi aspetti la visione cinese e i riferimenti a una gestione condivisa e più equa della governance globale. Dal punto di vista interno, come sottolineato dalla stessa stampa locale, la conferenza «ha rafforzato la fiducia della Cina in sé stessa».
Ciò che è mancato, come evidenziato in diversi commenti, sono misure concrete per realizzare l’impegno verso una maggiore cooperazione per affrontare le sfide economiche e garantire una maggiore condivisione delle scelte in materia di politica monetaria e fiscale.
I leader delle principali economie al mondo hanno condiviso la necessità di trovare un terreno comune sul versante valutario riconoscendo «che l’eccessiva volatilità e i movimenti disordinati dei tassi di cambio possono avere implicazioni avverse per la stabilità economica e finanziaria”. I Paesi del G20 hanno inoltre preso l’impegno a sfruttare tutti gli strumenti a loro disposizione per rilanciare la crescita, andando oltre il mero ricorso a politiche monetarie espansive.
«I fatti ci dicono che la vecchia strada fatta soltanto di politiche fiscali e monetarie è morta», ha commentato Xi, che in modo implicito ha ricevuto un apprezzamento alla strategia di puntare su riforme strutturali e sull’innovazione, uno dei cavalli di battaglia della retorica di Pechino su fronte della trasformazione della propria economia.
Riforme, scriveva però la rivista economica Caixin alla vigilia del vertice, che nessun Paese, Cina inclusa, sta portando avanti veramente. E anche in questo caso il sostegno alle riforme è stato accompagnato dalla postilla di riforme in «accordo con le circostanze nazionali».
Un altro punto segnato da Pechino è il riferimento a un uso più esteso dei diritti speciali di prelievo, il paniere di valute di riserva del Fondo monetario internazionale, che dal prossimo primo ottobre includerà anche lo yuan, e che dovrebbe rappresentare un’alternativa multilaterale al dollaro. In materia di fisco e nel mezzo del diatriba per la maximulta da 13 miliardi di euro imposta dalla Commissione europea a Apple per recuperare le tasse non versate in Irlanda, nel documento è entrato anche un accenno a una lista nera dei paradisi fiscali, la cui preparazione è stata affidata all’Ocse.
Altro vittoria di Pechino è il passaggio sulla necessità di garantire un sistema del commercio aperto, contro ogni forma di protezionismo, e multilaterale . Un aggettivo quest’ultimo che mette al centro l’Organizzazione mondiale del commercio, mentre rinvia a un Forum mondiale sull’eccesso di capacità produttiva nel settore dell’acciaio le valutazioni su come migliorare la comunicazione e la cooperazione per contenere gli effetti dei prodotti siderurgici cinesi a basso costo e prodotti in eccesso, anche grazie al sostegno pubblico, sul mercato globale e soprattutto europeo.
L’appuntamento per i leader delle 19 potenze economiche globali più l’Unione europea è ora ad Amburgo nel 2017. Una tappa intermedia nell’immediato sarà però il vertice Asean in Laos. Allora molte delle divergenze messe da parte ad Hangzhou dovrebbero riaffiorare. Su tutte le dispute territoriali nel Mar cinese meridionale che oppongo Pechino a diverse nazioni del Sudest asiatico.