In Cina e Asia – G20, Cina e Usa ratificano l’accordo di Parigi

In by Gabriele Battaglia

I titoli della rassegna di oggi:

– G20, Cina e Usa ratificano l’accordo di Parigi sulle emissioni
– Hong Kong: alle legislative vince una nuova generazione di moderati
– Patriottismo sui banchi di scuola 
– In Cina spopolano i corsi per programmatori in erba
– Dopo l’attentato di Davao, Manila dichiara lo «stato di illegalità»
G20, Cina e Usa ratificano l’accordo di Parigi sulle emissioni

Cina e Usa, i due paesi più inquinanti al mondo, hanno ratificato l’accordo di Parigi formalmente, firmato a conclusione della COP21. Lo hanno reso noto sabato in un comunicato congiunto le autorità dei due paesi, alla vigilia del G20 che quest’anno si tiene nella città cinese di Hangzhou il 4 e 5 settembre. Perché il trattato entri in vigore, l’accordo deve essere ancora ratificato da almeno 55 Paesi – in base alla propria legislatura- che rappresentano il 55 per cento delle emissioni globali di gas a effetto serra. Fino a sabato, secondo il sito web delle Nazioni Unite, solo 23 Paesi avevano concluso il processo -compresa la Corea del Nord. «Il segnale lanciato dai due grandi emettitori di compiere questo passo insieme e in tempi brevi, molto più brevi di quanto non si prevedesse un anno fa, dovrebbe dare fiducia alle comunità globale e agli altri paesi che stanno lavorando sui loro piani di cambiamento climatico riguardo al fatto che anche loro possono agire rapidamente nell’ambito di uno sforzo globale», ha dichiarato l’adviser di Obama Brian Deese. Pechino e Washington stanno inoltre lavorando alla conclusione entro l’anno di altri due accordi ambientali internazionali: un emendamento al Montreal Protocol – per ridurre la produzione e l’uso di quelle sostanze che minacciano lo strato di ozono – e un altro per ridurre le emissioni provocate dal trasporto aereo.

Nonostante i segnali positivi sul clima, nella giornata di sabato le delegazione e i presidenti dei due paesi non hanno mancato di discutere delle molte questioni su cui le due potenze continuano a non trovare un’intesa. Dispute nel Mar cinese meridionale tra Cina e alleati americani, Corea del Nord, sistema antimissile THAAD in Corea del Sud, protezionismo commerciale, cybersicurezza e diritti umani hanno alzato la temperatura del meeting. Poi Xi Jinping e Barack Obama si sono fronteggiati nell’ultimo incontro privato prima delle elezioni statunitensi sullo sfondo del pittoresco Lago Occidentale di Hangzhou. "Stiamo preparando il terreno in modo che la prossima amministrazione americana si insidi sulla base di con un rapporto forte e produttivo", ha dichiarato Obama. Ma gli analisti sono piuttosto concordi nel ritenere il bilaterale alquanto sottotono. Complici le distrazioni nel cerimoniale con cui il presidente è stato accolto al suo atterraggio, unico leader a vedersi negato il tappeto rosso.

Hong Kong: alle legislative vince una nuova generazione di moderati

Mentre si attendono i risultati definitivi, i voti finora scrutinati parlano di un ricambio nella fazione pro-democrazia con la sconfitta dei veterani a favore di più giovani sfidanti contrari alla crescente ingerenza di Pechino sull’ex colonia britannica. Tra i nuovi nomi compaiono il candidato indipendente Eddie Chu Hoi-dick, con 84mila preferenze nei Nuovi Territori occidentali, oltre a due altri moderati pro-democrazia: Nathan Law Kwun-chung, del movimento studentesco di Occupy, e  Lau Siu-lai, docente della Polytechnic University.

Si tratta della prima chiamata alle urne dalle proteste democratiche del 2014. L’affluenza è stata nettamente superiore a quella registrata nel 2012, con file interminabili fuori dai seggi fino oltre l’orario di chiusura. L’affluenza è stata del 58 per cento, superiore al picco del 55.6 per cento del 2004. Di primaria importanza per i democratici è riuscire – e pare che ci riusciranno – a mantenere un quarto dei seggi nel Legislative Council (Legco) in modo da poter mantenere il potere di veto. Alla vigilia delle elezioni, l’emergere sull’agone politico di nuovi giovani indipendentisti aveva accresciuto i timori di una dispersione di voti a tutto vantaggio del fronte filocinese. Ad ogni modo, secondo gli analisti, la presenza dei localisti nel Legco non si tradurrà in un ribaltone considerato il loro numero esiguo. Mentre 40 delle 70 poltrone sono assegnata attraverso elezione diretta, 30 dipendono dal voto di gruppi d’interesse vicini a Pechino.

Il risultato è di primaria importanza anche per il leader locale Leung Chun-ying che rischia di vedere l’implementazione della propria agenda bloccata e una propria conferma a marzo più improbabile. Diversi oppositori politici hanno protestato fuori dai seggi; in un caso l’ira ha colpito direttamente Leung, al quale è stato scaraventato addosso un panino col tonno a simboleggiare le difficoltà economiche affrontate dalle persone anziane che non possono permettersi nemmeno di mangiare la prima colazione in una città dove il divario di ricchezza si sta ampliando.

Patriottismo sui banchi di scuola 

Il 1 settembre la campanella è suonata anche presso la Yongxing School di Sansha, che  quest’anno accoglie nuovi 29 studenti. Costata 5,4 milioni di dollari, la scuola si espande su un’area di 4000 metri quadrati a Woody Island (Yongxing in mandarino), nel Mar cinese meridionale, e rappresenta l’istituto più a sud della Cina. Almeno secondo la Tv di Stato. Ma non stando alla recente sentenza del tribunale internazionale dell’Aja che disconosce le pretese territoriali di Pechino sugli arcipelaghi contesi, che negli ultimi due anni il Dragone ha provveduto ad ampliare artificialmente con costruzioni civili e non. Non a caso, l’anno scolastico si è aperto con una lezione di geopolitica «sull’indiscussa sovranità cinese sulle isole Spratly».

Sull’isola Sansha ci sono 1443 abitanti e tutti gli studenti della nuova scuola sono figli di soldati e del personale incaricato di difendere le posizioni cinesi nell’area. L’iniziativa è stata oggetto di dibattito sul web, che si è diviso tra quanti ritengono la scuola di Sansha un esempio da replicare in altri tratti di mare sensibili, e quanti invece criticano la strumentalizzazione dei bambini per scopi politici.

Sempre il patriottismo è stato al centro del programma trasmesso dalla Cctv giovedì sera, a conclusione del primo giorno di scuola, e dedicato a istruire i più giovani sulle gesta compiute dalle vecchie generazioni durante la Lunga Marcia.

In Cina spopolano i corsi per programmatori in erba

Mentre Pechino sponsorizza una riforma economica improntata sullo sviluppo tecnologico, in Cina è boom di corsi estivi e scuole private per programmatori in erba. L’età media degli studenti è di 11 anni, ma alcuni ne hanno solo sei. A spingerli verso l’inusuale disciplina sono i genitori, che vedono nel coding il business del futuro. Quando lo scorso anno il Tarena Learning Center ha avviato le prime lezioni a Pechino aveva soltanto 50 alunni, ora ne conta oltre 4000.

Per la seconda economia mondiale è una corsa contro il tempo. Sono circa una dozzina i paesi a precedere la Cina quanto ad alfabetizzazione digitale , – inclusi gli Stati Uniti – mentre in Gran Bretagna la riforma scolastica del 2013 annovera la programmazione tra le materie obbligatorie nel curriculum delle scuole primarie. Il gigante asiatico non vuole essere da meno. E considerato il noto carico di studio a cui sono sottoposti i bambini cinesi, quantomeno stavolta si tratta di una materia che stimola la fantasia e dà loro la possibilità di imparare giocando.

Dopo l’attentato di Davao, Manila dichiara lo «stato di illegalità»

All’indomani dell’attacco terroristico che ha colpito la città filippina di Davao facendo almeno 14 vittime, il governo di Duterte è sulle tracce di quattro sospetti e segue due piste: ad aver rivendicato l’atto sono i miliziani di Abu Sayyaf – gruppo terroristico, affiliato all’Isis, ben noto alle autorità della regione meridionale di Mindanao – che secondo quanto affermato dal presidente potrebbero aver reagito in rappresaglia dopo l’offensiva militare lanciata sull’isola Jolo, a 900 chilometri da Davao. Nonostante la città sia nel complesso considerata sicura, anche negli anni in cui Duterte ha ricoperto il ruolo di sindaco non sono mancati atti estremi da parte dei militanti, che da anni guidano un’insurrezione separatista nel sud del paese.

Mentre Manila non ha ancora confermato la paternità di Abu Sayyaf, la seconda ipotesi contemplata dalle autorità è che si possa trattare invece di una vendetta dei trafficanti in risposta alla feroce campagna antidroga intrapresa dal nuovo presidente con licenza di uccidere. A confermare la linea dura, dopo i fatti di Davao il «Giustiziere» ha annunciato lo «stato di illegalità» a livello nazionale assegnando «poteri extra» all’esercito. Non è la legge marziale, ha spiegato Duterte, ma dà la possibilità alle truppe impiegate nei centri urbani di assistere la polizia nei pattugliamenti e nell’istituzione di posti di blocco.