La sagoma nera di Ayumu Goromaru si staglia in un fascio di luce bianca nel contorno rettangolare di una porta. Sopra di lui, su un maxischermo, scorrono le immagini di una partita di rugby. Il verde di un campo, un placcaggio, tifosi festanti con maglie a strisce orizzontali bianche e rosse. Ayumu osserva la platea, ripetendo a mente alcune frasi di rito. «Buonasera», «sono molto onorato del vostro invito», «Scusate l’emozione». È fine novembre a Tokyo, nel distretto di Minato. Da qualche ora si è aperta la Convention per i 60 anni del Partito Liberal Democratico, il primo partito giapponese. La temperatura è fresca, l’aria meno umida dopo i mesi estivi e le piogge autunnali. I parchi della capitale si colorano del giallo del ginko e del rosso dell’acero. La voce dagli altoparlanti lo annuncia. Uno scroscio di applausi. Il ragazzo avanza un po’ imbarazzato nel suo completo grigio antracite verso i tremila davanti al palco. Si ferma. La sua figura è composta, elegante. Si inchina in gesto di saluto. Nonostante la stazza, il movimento è fluido, impeccabile, il grado del gesto calcolato al millesimo. Altri applausi.
Si guarda intorno, un sopracciglio alzato. Scruta la platea con sguardo insolente e interrogativo. Non lo dà a vedere ma dentro di sé è teso. Studia l’ambiente, forse individua le vie di fuga. In vita sua ha affrontato giganti di due metri pesanti un quintale su campi lunghi cento metri e larghi settanta. Più volte si è trovato a correre con tutte le sue forze per fermarli, quei bolidi di carne e sudore. Più volte si è trovato sbalzato di metri per la forza dell’impatto.
Ma quella platea è diversa. Lì dentro ci sono primi ministri, ministri, vice-ministri, segretari generali. Quei signori con i capelli impomatati, i riporti con le tracce di tintura nera e le facce inebetite dalla sua presenza, sono il potere. Lui è tra loro, li può guardare dall’alto in basso.
Tra loro, c’è chi lo vede già nel Partito. Ayumu è «un eroe popolare» e sono anni che qui non si trova più un politico che piaccia alla gente. Il Partito è un affare di famiglia. Quando il padre si fa da parte, entra il figlio e così via. Gente che non ha mai dovuto faticare veramente per arrivare dov’è. Prendi il Capo. Sempre in giro per il mondo, a stringere le mani ai capi di stato delle principali potenze mondiali. Ma quando parla, non infiamma gli animi. Come quelli prima di lui, quasi tutti «figli di», «nipoti di», è lì chissà per quanto ancora, protetto dal suo status, e dal suo galleggiare tra le mille correnti del Partito. E poi è pieno di ex sportivi che si danno alla politica. Altri «eroi popolari» come i wrestler Antonio Inoki e Hiroshi Hase ce l’hanno fatta a fare il grande salto. Il primo fa da ambasciatore informale con la Corea del Nord; l’altro l’hanno fatto ministro dell’Educazione.
Nel fragore di mani che applaudono, Ayumu sente le ruote di un carrellino scorrere dietro di sé. Capisce che il difficile arriverà di lì a poco. Cerca con le mani sudate un foglietto nella tasca. C’è ancora, lì dove l’aveva messo poco prima. «Sono abituato alla routine del rugby», fa Ayumu nel microfono. «Ma non a quella dei discorsi». Si scusa. Non può farne a meno, mentre tira fuori dalla tasca quel foglietto, la sua unica sicurezza. Si sente un pesce fuor d’acqua. Uno strafalcione, un verbo sbagliato, un volume di voce troppo alto, o troppo basso: perdere la faccia qui, nella sua prima vera uscita nel mondo fuori dai campi di gioco, non è un’opzione.
Ayumu è solo, davanti ai tremila delegati del Partito. Non ha suo fratello Ryo, più grande di un anno, con cui a 16 anni ha fatto il suo esordio nel rugby. Non c’è il suo «demiurgo», Eddie Jones, l’allenatore australiano dagli occhi a mandorla che lo ha riportato in nazionale, lo ha fatto vice-capitano e lo ha aiutato a diventare un giocatore chiave. Non c’è nemmeno Michael Leitch, il capitano della nazionale con cui pochi mesi prima è stato protagonista della vittoria più assurda e inattesa della storia del rugby. Giappone 34, Sud Africa 32. Una squadra di seconda fascia batte in una competizione della Coppa del Mondo una delle squadre più forti di sempre. L’urlo dei compagni, dei pochi tifosi giapponesi giunti appositamente a Brighton e quello dei flash delle macchine fotografiche è ancora lì nelle sue orecchie.
È solo, come quando, in partita, si prepara a calciare tra i due pali della porta. In quelle occasioni, l’ovale sistemato sull’erba, Ayumu ha il suo rituale. Si piega leggermente in avanti, con le mani giunte davanti alla faccia, l’indice puntato in alto. Guarda fisso verso gli spalti, nello spazio tra i due alti pali bianchi. E poi calcia. In Inghilterra, con la nazionale, si è confermato tra i giocatori più efficaci nel calcio da fermo. Ma è stato quel suo rituale, mandato in onda a ripetizione su tutti i canali televisivi giapponesi e diventato virale su Internet, a fare di lui un’icona.
A Seki, in Giappone centrale, la Goromaru-mania è stata una benedizione. I monaci del locale tempio buddhista del Zenkoji, giurano di non aver mai visto così tanti fedeli in processione alla statua del Buddha Dainichi, il Buddha del cosmo, seduto a gambe incrociate su un fiore di loto, mentre medita a mani giunte e indici alzati. Proprio come l’estremo dei «Brave Blossoms», a parte per l’imperturbabile sorriso.
Per i sei minuti del suo discorso, la voce di Ayumu rimane forte, chiara, decisa. Alla fine arriva il Capo, gli stringe la mano, alza i pugni sopra le braccia lo mostra quasi come fosse un suo trofeo. In platea, intanto, c’è già chi già si frega le mani immaginando manifesti elettorali con la sua faccia.
Sono passati alcuni mesi da quel momento. Ayumu oggi è di nuovo solo, pensa alla sua carriera. La sua prima esperienza di club fuori dal Giappone, nel Queensland australiano, è finita male: messo ai margini della squadra perché poco incisivo. Ha la valigia in mano, destinazione Tolone, in Francia. Qui giocherà la prossima stagione. Si allenerà con Jonny Wilkinson, fenomeno del rugby contemporaneo da poco ritiratosi. È vedendo lui calciare nel campo da rugby nel campus della sua università a luglio del 2004, nel caldo umido dell’estate di Tokyo che Ayumu ha imparato il suo famoso tiro. Per lui ora c’è solo il rugby. La politica e il Partito possono aspettare.
[Pubblicato sul manifesto]