I titoli della rassegna di oggi:
– Sullo sfondo del China-Ue Summit, Brexit e protezionismo
– Transparency International boccia le società cinesi
– Polemica sullo «scarafaggio Xi»
– I lavoratori di Wal-Mart China incrociano le braccia
– La Corea del Nord interrompe la comunicazione con WashingtonSullo sfondo del China-Ue Summit, Brexit e protezionismo
La Cina si schiera a favore di un’Unione Europa «potente» e confida in uno sviluppo futuro nonostante il Brexit. È quanto dichiarato dal premier cinese Li Keqiang in occasione del China-EU summit, apertosi martedì a Pechino e che vede presenti il presidente della Consiglio europeo Donald Tusk e il capo della Commissione europea Jean-Claude Junker. Si tratta del primo incontro tra i vertici di Ue e Cina da quando il referendum popolare del 23 giugno ha sancito l’uscita della Gran Bretagna dal blocco dei 28. «La Cina sostiene fermamente il processo di integrazione europea e ritiene che lo sviluppo della Ue non si fermerà. È inoltre speranzosa di vedere un’Ue stabile, fiorente e potente. Questo è un bene per le relazioni Cina-Ue e anche per gli interessi cinesi».
Oltre all’argomento Brexit, il meeting (che si conclude oggi) dovrebbe avere in agenda anche l’apertura del mercato cinese agli investimenti stranieri, nonché la controversa legge sulla cybersecurity, di cui Pechino ha rilasciato una seconda bozza la scorsa settimana. Tra gli argomenti spinosi, Tusk non ha mancato di rimarcare la contrarietà del Vecchio Continente al modo in cui la Repubblica popolare gestisce la questione dei «diritti umani». Ancora vaghe le notizie sulle trattative per un tratto bilaterale sugli investimenti, mentre Xi Jinping ha esortato l’Unione ad attenersi a quanto stabilito all’articolo 15 del protocollo sull’accesso della Cina alla Wto, chiaro riferimento alla tribolata assegnazione dello status di economia di mercato.
Transparency International boccia le società cinesi
La Cina vanta il primato delle compagnie più «opache» tra i paesi emergenti. A dirlo è la no profit Transparency International che studia la lotta alla corruzione nelle varie nazioni. Secondo l’ultimo rapporto rilasciato lunedì, tre compagnie tra le 100 analizzate ad aver registrato un punteggio pari a 0 sono cinesi. Un risultato definito «patetico», che evidenzia l’esigenza di inasprire la lotta alla corruzione.
In totale sono 37 le aziende cinesi prese in esame, il gruppo più consistente tra i vari paesi studiati, eppure quello che ha ottenuto valutazioni peggiori. Tra le compagnie ad aver totalizzato 0 su 10 ci sono la casa automobilistica Chery, il produttore di elettrodomestici Galanz e la multinazionale dell’automotive Wanxiang Group. Mentre i 25 posti in coda alla classifica sono dominati dalla Cina, soltanto il colosso Zte compare nella top 25. Il rapporto getta tinte fosche sulla campagna di «go global» intrapresa dal business cinese sullo scacchiere internazionale.
Polemica sullo «scarafaggio Xi»
È polemica sull’assegnazione del nome del presidente Xi Jinping a un nuovo scarafaggio recentemente rinvenuto sull’isola di Hainan. Rhyzodiastes (Temoana) xii è il nome prescelto dallo scienziato cinese Wang Cheng Bing della Czech University of Life Sciences di Praga. «L’epiteto è dedicato al Dr. Xi Jinping, presidente della Repubblica popolare, in onore della sua leadership grazie alla quale la nostra madrepatria sta diventando sempre più potente», ha spiegato il ricercatore, autore di un articolo pubblicato sulla rivista specialisitca Zootaxa.
Mentre quella di assegnare nomi di leader a insetti è una pratica piuttosto diffusa a livello internazionale, in Cina tutto ciò che concerne la nomenklatura viene considerato argomento «sensibile». Perdipiù, l’immagine di un coleottero che si nutre sostanze decomposte richiama molto da vicino il modo in cui la corruzione veniva raccontata nella letteratura cinese. Non serve dire che la traduzione cinese del nome (習氏狼條脊甲) è stata prontamente rimossa dal web cinese.
I lavoratori di Wal-Mart China incrociano le braccia
Giovedì scorso i rappresentanti dei lavoratori hanno incontrato i dirigenti di Wal-Mart presso il quartier generale di Shenzhen, nel Guangdong, per chiedere la sospensione del «sistema flessibile degli orari di lavoro», in base al quale ai manager sarebbe accordato il diritto di assegnare ai lavoratori – con breve preavviso – una serie di ore di lavoro al giorno o al mese, per un massimo di 174 ore mensili.
All’inizio di luglio, la decisione aveva scatenato un’ondata di scioperi a Nanchang, Chengdu e Harbin e i lavoratori minacciano di estendere le proteste anche in altre città se le trattative finiranno in maniera insoddisfacente. La multinazionale americana, arrivata in Cina nel 1996, si è dotato di sindacati soltanto nel 2006 sotto le pressioni della All-China Federation of Trade Unions (Acftu). Ma in Cina i rappresentati dei sindacati – scelti ai piani alti delle società, non dai lavoratori – spesso vengono accusati di prendere le parti del management.
Nel 2013, Wang Fang, un ex dipendente di Wal-Mart Shenzhen, ha vinto una causa contro il suo sindacato, accusato di non tutelare i diritti dei lavoratori nel corso di una vertenza sindacale, primo caso cinese in cui un sindacato è stato citato in giudizio da un individuo. Il peggioramento delle condizioni di lavoro sembra arrivare in un momento in cui la febbre da shopping online sta colpendo duro i supermercati.
La Corea del Nord interrompe la comunicazione con Washington
Lunedì, la Corea del Nord ha interrotto l’unico canale di comunicazione attivo con gli Stati Uniti – rappresentato dalla missione nordcoreana al Palazzo di Vetro -, in risposta alle sanzioni unilaterali applicate per la prima volta da Washington contro alcune personalità di spicco del regime di Pyongyang, compreso il Brillante leader Kim Jong-un.
Questo vuol dire che la risoluzione delle divergenze tra Usa e Corea del Nord – compresa la questione dei due cittadini americani ancora detenuti a nord del 38esimo parallelo – verranno gestite in base alla «legge di guerra». La rottura è arrivata all’indomani dell’annuncio del dispiegamento del sistema antimissile americano Thaad in Corea del Sud, a cui Pyongyang ha reagito minacciando «una risposta fisica». Intanto, le immagini satellitari evidenziano una ripresa delle attività presso il sito nucleare di Punggye-ri che potrebbe preannunciare un quinto test, o semplici operazioni di manutenzione.