Il presidente russo ha incassato l’«eterna amicizia» di Xi Jinping e si è portato a casa accordi commerciali per 50 miliardi di dollari. Cina e Russia sembrano sempre più «alleati naturali», nonostante le resistenze e le diffidenze reciproche (soprattutto cinesi). Mentre l’Europa si divideva, Vladimir Putin ha fatto, nello scorso fine settimana, il suo quarto viaggio in Cina da quando nel 2013 si è insediato Xi Jinping. Dal presidente cinese ha incassato una promessa di «eterna amicizia», testuale. Musica per le orecchie di Putin, che almeno dai tempi dell’annessione della Crimea ha sempre cercato di rafforzare il rapporto con la Cina.
La materializzazione di questa amicizia eterna sono 58 accordi commerciali per 50 miliardi di dollari di valore complessivo. Tra questi, come di consueto, spicca l’energia. La Russia è già dall’inizio di quest’anno il primo fornitore di petrolio della Cina, dopo avere scavalcato l’Arabia Saudita. Ora, è stata siglata un’intesa per la vendita a China Chemical Corporation del 40 per cento del nuovo complesso petrolchimico di Rosneft, nell’estremo Oriente russo, mentre Beijing Gas Group entrerà con il 20 per cento di quote in una sussidiaria della stessa Rosneft, anch’essa in Siberia. Un accordo di massima stabilisce inoltre che tra l’estate di quest’anno e quella del 2017, il gigante petrolifero russo rifornirà ChemChina di 2.4 milioni di tonnellate di greggio.
Tra gli altri accordi notevoli, una linea d’alta velocità made in China che sarà costruita in Russia e su cui torneremo dopo.
Sul piano politico, i due Paesi hanno criticato in un comunicato congiunto il dispiegamento di sistemi antimissile in Europa Orientale e in Asia, senza mai citare la Nato ma in chiaro riferimento all’Alleanza Atlantica. Va ricordato che di recente gli Stati Uniti hanno concordato l’installazione del sistema Thaad in Corea del Sud, una mossa che ha irritato parecchio Pechino anche se Washington la giustifica con la minaccia che arriva da Pyongyang. Proprio su questo tema, Putin e Xi hanno ribadito che i colloqui a sei sono il miglior modo per risolvere il problema nordcoreano. Inoltre, si sono promessi cooperazione contro il terrorismo internazionale e hanno rivendicato identità di vedute sulla Siria e sul Mar Cinese Meridionale.
Dietro al vertice di questi giorni c’è il quadro generale.
La Russia non è mai stata il partner più importante della Cina negli ultimi vent’anni, il più recente avvicinamento ha origine nella crisi ucraina e nell’annessione della Crimea, con le conseguenti sanzioni comminate a Mosca dall’Occidente. Da lì, Putin ha cominciato a corteggiare Pechino, che dal canto suo nicchia per non irritare l’Occidente, ma cerca comunque di trarne beneficio.
Nonostante i titoloni dei giornali russi e cinesi (più quelli russi, a dire il vero), restano ostacoli e diffidenze, così sintetizzati da Alexander Gabuev – esperto di relazioni russo-asiatiche al Carnegie Moscow Center – durante un incontro al Foreign Correspondent Club di Pechino:
«La Russia è in realtà una “strana” parte d’Europa. Putin va da Berlusconi a fare le vacanze, non da Xi Jinping; I ricchi russi comprano squadre della Premier League britannica, non di quella cinese; se si guardano gli asset dei funzionari cinesi all’estero, non troviamo acquisti di case in Asia, neppure a Tokyo, Singapore o Hong Kong, bensì a Vienna, Londra, Nizza. C’è addirittura un razzismo soffuso nei confronti della Cina, che risale ai tempi sovietici, quando era un partner socialista di livello inferiore.
Quando nel 2006 Putin siglò con Hu Jintao il memorandum sulle forniture energetiche – continua Gabuev – nessun russo intendeva sviluppare davvero il progetto. Era solo un segnale inviato ai clienti occidentali. Il credit crunch del 2009 rivelò invece ai russi che in Occidente non c’erano più soldi per loro. C’erano invece in Cina e a Hong Kong. Nei quindici anni di Putin presidente, cominciò allora una nuova fase, che dopo l’annessione della Crimea prese ulteriore slancio. Nel 2014, il presdiente visitò Shanghai e con Xi Jinping firmò circa quaranta documenti e memorandum per dare enfasi alla relazione. Tutto è cambiato con le sanzioni da parte dell’Occidente».
La Russia cerca in Cina soprattutto un enorme mercato per i propri idrocarburi, una grande fonte di finanziamenti e tecnologia da importare: infrastrutture, hardware, Information Technology. In Cina, Mosca si prende ciò che sul lato opposto di Eurasia è bloccato dalle sanzioni.
Sulla sponda cinese, però, dal 2014 si sviluppano nuove circostanze, già visibili allora ma poi in crescita esponenziale. Di nuovo Gabuev:
«Comincia il rallentamento dell’economia, così c’è meno bisogno di fonti energetiche. Entra nel vivo la campagna anticorruzione, quindi molti degli alti funzionari che firmavano gli accordi energetici finiscono in galera, dato che facevano parte della cerchia di Zhou Yongkang. Inoltre, molti manager diventano passivi per paura, così diversi accordi già siglati tramontano.
A livello politico, c’è poi il desiderio di non rovinare il proprio rapporto con l’Occidente, sacrificandolo sull’altare dell’amicizia con la Russia e violando le sanzioni. Per dare un’idea alle gerarchie d’importanza secondo Pechino, basta guardare la sede di Bank of China a New York – un grattacielo – e confrontarla con l’ufficetto che hanno a Mosca».
L’esperto continua: «La svalutazione del rublo rende inoltre problematici gli accordi nelle rispettive monete. Infine, l’economia russa è gestita male e ai cinesi non piace. Corruzione, politiche ondivaghe del governo, che continua a varare nuove riforme per mettere una pezza a quelle vecchie».
A questo punto, conscia dell’asimmetria nei rapporti, la Russia fa leva sull’aspetto militare. «Prima della crisi ucraina – continua Gabuev – la Russia non era intenzionata a vendere ai cinesi le proprie tecnologie più sofisticate, per due ragioni fondamentali: paura dell’allargamento cinese in Siberia orientale e timore che i cinesi replicassero le sue apparecchiature militari in versione cheap per rivenderle poi nel terzo mondo. Poi a Mosca hanno riveduto quest’approccio: si sono resi conto che non ci sono più di duecentomila cinesi tra Siberia ed estremo Oriente russo e con la crisi economica, molti russi stanno di nuovo ripopolando le regioni orientali, l’Amur e addirittura il Dongbei cinese. E poi si sono accorti che molte delle tecnologie russe “copiate” dai cinesi non erano state in realtà rubate, bensì sviluppate per loro da ingegneri russi impoveriti durante gli anni Novanta».
Così, di recente, Mosca ha venduto a Pechino il suo sistema di difesa missilistica più avanzato, il S-400 Triumf.
«Sei divisioni, cioè una cinquantina di missili, non sono una grande quantità, ma se metti quei missili nel Fujian sei in grado di tenere sotto scacco Taiwan e il Mar Cinese Meridionale. La Russia è estremamente avanzata nella costruzione di sistemi missilistici, al pari degli Usa. E poi ci sono altre tecnologie che stanno per essere vendute, inclusi i sottomarini nucleari».
A questo punto, Pechino comincia a mostrare interesse e si adopera per costruire veicoli finanziari che siano immuni alle sanzioni occidentali. «La Cina ne costituì parecchi con l’Iran, quando l’Iran era preso di mira da Washington e vassalli: banche speciali create di proposito, borse denominate in rubli e Rmb che trattano nello specifico le materie prime e così via. È il docoupling dal sistema finanziario internazionale», spiega Gabuev.
Il riavvicinamento avviene così con l’aspetto militare sullo sfondo ma su basi soprattutto economiche. I due Paesi sono per molti versi complementari. Per i cinesi, la Russia è una grande cisterna di gas, petrolio, riserve naturali, che però ha bisogno di investimenti e di infrastrutture. Proprio ciò in cui la Cina è specializzata. Pechino, dal canto suo ha bisogno di esportare la propria sovrapproduzione di acciaio e cemento e così nasce il progetto della nuova linea ad alta velocità tra Mosca e Kazan’.
Ancora più interessante è il caso dell’information technology. Dopo l’affare Snowden, il governo russo ha cominciato a sostituire le proprie apparecchiature fornite da Cisco System e altre compagnie Usa, con tecnologie fornite da imprese cinesi.
Infine, gli aspetti più politici: «Va ricordata la comune natura autoritaria dei regimi politici», conclude Alexander Gabuev. «La Cina chiama se stessa “democrazia con caratteristiche cinesi”, la Russia si definisce “democrazia di tipo sovrano”, alla fine si trovano perché non avanzano obiezioni sui diritti umani del vicino. Quindi, nei colloqui bilaterali, l’argomento è accuratamente omesso. Infine, Russia e Cina hanno un’agenda di politica estera comune, che consiste nel tentativo di modificare l’ordine globale esistente. Sovranità nazionale, Internet governance. Tutto, in questo momento, le rende alleate naturali».