La Cina rispetta l’esito del referendum britannico. Chiede però a Londra e Bruxelles di accelerare i negoziati per un accordo che sani la nuova situazione di incertezza. Negli ultimi anni la Gran Bretagna è diventato il principale hub cinese nel Vecchio continente. L’uscita dalla Ue è per Pechino ricco di opportunità e rischi. Già due giorni prima dell’esito del voto sulla Brexit il tabloid Global Times lamentava la mancanza di consapevolezza del cinese medio per le implicazioni dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Il paragone è con l’interesse suscitato al contrario dalla campagna elettorale statunitense.
È questo secondo il tabloid vicino al Partito comunista cinese, è dovuto al calo dell’influenza britannica ed europea sull’opinione pubblica della Repubblica popolare. Diverso l’atteggiamento delle élite, consce dei legami commerciali sino-europei e delle ombre che la Brexit porterà con sé.
«La Cina sostiene un’Europa stabile e prospera», ha rimarcato la portavoce del ministero degli esteri cinese commentando la vittoria dei sostenitori del Leave. Lo stesso concetto era stato evidenziato in diverse occasione dai leader cinese, per primo il presidente Xi Jinping nel corso della visita in Gran Bretagna dello scorso anno. Il viaggio aveva sancito quella che è stata definito l’età dorata delle relazioni sino-britanniche. Nel 2015 il Regno Unito è stata la prima meta europea per gli investimenti stranieri. Dal 2000 sono stati convogliati investimenti diretti per 15 miliardi di euro.
Londra si è ritagliata il ruolo di hub per l’internazionalizzazione dello yuan, ruolo certificato a maggio con l’emissione nella City del primo bond sovrano cinese denominato in renminbi fuori dai confini della Repubblica popolare, per un valore di 3 miliardi di yuan. Il governo britannico si è inoltre caratterizzato assieme alla Germania come la principale sponda dei cinese per far valere le proprie ragioni a Bruxelles, anche in merito al riconoscimento dello status di economia di mercato, ambito da Pechino e che renderebbe più difficile l’imposizione di misure di difesa commerciale sulle importazioni dalla Cina.
«Rispettiamo l’esito del voto», ha comunque rimarcato la rappresentate del governo. Pechino ha però esortato britannici e vertici comunitari a trovare un accordo il prima possibile. «Guardiamo alle relazioni con la Gran Bretagna e con l’Unione europea sul lungo periodo». Le conseguenze «saranno a tutti i livelli, non soltanto per le relazioni sino-britanniche».
Un primo effetto potrebbe essere le ripercussioni sul lancio della connessione tra i listini della City e di Shanghai nell’ambito del dialogo economico e finanziario tra i due Paesi, che si ipotizza possa partire già da prossimo settembre. Che il post Brexit possa trasformarsi in qualche modo in opportunità lo ha messo in chiaro il Chief executive di Hong Kong , CY Leung.
«Sono convito che la comunità d’affari e i cittadini sapranno trasformare le sfide in nuove opportunità», ha dichiarato il governatore al South China Morning Post, spiegando di aver sentito diversi investitori interessati all’azionariato e all’immobiliare britannico ora che la svalutazione della sterlina ha reso tutto più conveniente. Il governo e i regolatori, ha aggiunto, sono preparati per ogni scossone sull’indice Hang Seng, rimarcando che la gestione economica e finanziaria è in autonomia dalle decisioni di Pechino.
Non è comunque detto che la Brexit comporti necessariamente un declino dell’interesse cinese per gli investimenti nel Paese. In questo senso, ricorda un’analisi pre-referendum della Chatham House, si è pronunciato il presidente della China Construction Bank, Wang Hongzhang, convinto che in ogni caso, l’esito del voto non avrebbe influito sui rapporti economici e finanziari.
Certo le preoccupazioni non mancano. Si pesano le possibili implicazioni di un accordo tra Londra e Pechino. Il China Daily ha fatto anche alcuni conti, riportando previsioni in base alle quali per i negoziati serviranno almeno 10 anni e l’impiego di 500 funzionari di Sua Maestà. Tuttavia, spiega ancora la Chatham House, la Gran Bretagna rischia però perdere un po’ dell’importanza che ora riveste, in particolare per quelle aree in cui Londra rappresentava la porta d’ingresso per il mercato europeo. Londra potrebbe inoltre dover cedere ulteriormente ai desiderata cinesi.
Sull’altare delle relazioni economiche sono stati sacrificati alcuni principi. La vicenda di Lee Bo, uno dei cinque librai di Hong Kong, per di più lui con passaporto britannico, scomparsi (di fatto rapiti da agenti cinesi) e tenuti per mesi in carcere con soltanto una timida reazione di Londra, dà il senso delle forze in campo
Ma la Cina potrebbe anche emergere come una delle vere vincitrici del referendum. Se è vero, come sostiene il professor Michele Geraci della Nottingham University Business School che la Cina ha sempre sostenuto l’Europa unita per poter di volta in volta utilizzare uno dei 28 Stati membri a proprio vantaggio, un’altra corrente di pensiero di cui su Bloomberg View si è fatto portavoce, Michael Schuman, sottolinea come una Ue più piccola sia anche un contrappeso meno forte alle ambizioni internazionali della Cina.
Chi invece guarda a Bruxelles è stata in qualche modo l’Asean. Come l’Europa anche l’Associazione delle nazioni del Sudest asiatico cerca una maggiore integrazione. Un processo che al momento non sembra messa a rischio, mette le mani avanti il segretario generale dell’Asean, Surin Pitsuwan, intervistato dalla Nikkei Asian Review. «Progrediamo passo per passo, non cerchiamo la piena integrazione, facendo dell’intera Asean un’unità economica e politica»spiega«Abbiamo spazio per fare degli aggiustamenti. Come ho sempre detto al Ue è un’ispirazione, non il modello».
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