In migliaia hanno reso omaggio ad Amjad Sabri, il cantante qawwali, la musica devozionale sufi, ucciso in un agguato a Karachi lo scorso 22 giugno. La rivendicazione porta la firma dei Talabani pakistani, fazione locale dei turbanti neri, slegata però dai cugini afghani.Figlio d’arte, il padre Ghulam Farid Sabri fu anche egli un acclamato artista di qawwali assieme allo zio Maqbool, che fu il suo mentore, Amjad Sabri era accusato di blasfemia dagli estremisti.
L’omicidio di Sabri, colpito da due sicari in motocicletta, è soltanto l’ultimo in ordine di tempo di una serie di attacchi verso i sufi, corrente mistica dell’islam improntata alla tolleranza. Tra questi l’attacco suicida al santuario dedicato a Abdullah Shah Ghazi a ottobre del 2010.
Lo stesso Ghazi all’inizio del 2014 fu citato in giudizio con l’accusa di blasfemia, reato che può costare la pena di morte, assieme a due emittenti televisive che avevano ospitato i suoi spettacoli.
E non è neppure un caso che l’attentato contro l’artista sufo sia avvenuto proprio a Karachi. La metropoli, uno dei cuori economici del Pakistan, è anche una delle città più violente del Paese dei puri, centro di lotte tra fazioni politiche e gruppi criminali che nel 2013 costrinsero il governo a intervenire con l’esercito.