Timothy Brook, sinologo tra i più autorevoli, nel volume La mappa della Cina del signor Selden (Einaudi), racconta la storia di un documento del 1654 rinvenuto solo nel 2009 nella biblioteca Bodleiana di Oxford che apre nuovi scenari politici. La recensione di Simone Pieranni.Nel 2009 la biblioteca Bodleiana dell’università di Oxford scoprì di avere nelle proprie stanze una mappa della Cina. Dagli archivi risultava che quella carta era stata donata dall’avvocato Selden nel 1654. Per quattro secoli era rimasta lì, inosservata. Per capirne di più, per comprenderne o meno il valore, il conservatore della biblioteca chiamò un esperto: Timothy Brook. Si tratta di uno dei più noti e stimati sinologi. È autore di un libro di successo (Il cappello di Vermeer, Einaudi), nel quale aveva già dato prova di scrittura, dimostrando di saper raccontare con grande spirito narrativo interi periodi storici. Brook, tra le altre cose, è stato un allievo e poi collaboratore di Joseph Needham, che tanto per capirci può essere definito uno dei più grandi sinologi di tutti i tempi e autore del fondamentale e mastodontico lavoro in quindici volumi Storia e scienza della Cina (pubblicato in Italia da Einaudi).
Fabbricazioni scrupolose
Brook esaminò la carta geografica, studiò il suo iter all’interno della biblioteca (una delle più prestigiose del paese e rinomata per il materiale «orientale» a disposizione) e capì subito di essere di fronte alla «più importante mappa cinese degli ultimi sette secoli», perché raffigurata in modo minuzioso c’era «la porzione di mondo che i cinesi conoscevano all’epoca, dall’oceano indiano a ovest delle isole Molucche a est, e da Giava a sud al Giappone a nord». Brook confrontò la fabbricazione, ingegnosa e scrupolosa, con altre a disposizione della biblioteca. La «mappa di Selden», come venne chiamata dal nome del suo donatore, descriveva i confini della Cina e il «suo» mare.
Capirete che la notizia del ritrovamento, nel 2009, fece un certo rumore. Il fatto che la mappa descrivesse per la prima volta le rotte commerciali nel Mar cinese meridionale, deve aver risvegliato molti animi. Quando si va a scoperchiare il passato, chi gestisce il presente spesso finge indifferenza temendone un contraccolpo. Ma per i cinesi parlare di Mar cinese meridionale, nel momento in cui proprio oggi in quella zona si gioca una nuova guerra fredda, diventa invece un’opportunità. E se una mappa dimostrasse che le rivendicazioni odierne della Cina, considerate sbagliate da tutti i paesi che si affacciano su quel mare e dagli Stati uniti, sono esatte? Se quella mappa dimostrasse che quelle isole che costituivano un incubo per i marinai del 1600, perché apparivano e scomparivano, sono «cinesi» fin dal 1600 almeno, sempre che la mappa non sia addirittura precedente? Timothy Brook decide di giocare con questa domanda ne La mappa della Cina del signor Selden (Einaudi, pp. 272, 26 euro) anche se l’oggetto ritrovato diventa subito un’enorme strada percorsa da centinaia di vite.
L’occhio esperto e raffinato di Brook sa individuare tutte le storie più sfiziose che ruotano attorno a quella carta geografica, andando avanti e indietro nel tempo, ripescando il clima politico e culturale dell’epoca. La precisione di alcuni particolari costituisce un ampio faro di luce sul sistema politico e culturale orientale e occidentale. Le derive che Brook coglie sono continue, spiazzanti e avvolgenti. Lo stile del libro è quello di un «saggio narrato»: una non fiction che sembra di continuo in procinto di ibridarsi. Ma Brook è uno studioso e tiene la bussola sempre a portata di mano, esattamente come i timonieri di cui racconta nel libro. La controlla per non perdere mai la rotta. E le derive continuano. Per dirne alcune: l’uomo che donò alla biblioteca la mappa si chiamava John Selden. Membro della camera dei comuni, repubblicano, è divenuto famoso perché a lui si deve, in pratica, la creazione del diritto internazionale. Molto interessato – per ovvi motivi – alle carte geografiche. Un uomo eristico, in apparenza, uscito dal guscio di studioso sconosciuto grazie a un libro sul sistema di tassazione dell’epoca. A questo riguardo va detto che il papa non prese bene quell’esordio letterario (Selden da giovane scrisse anche poesie e bazzicava l’ambiente dei Ben Jonson e degli Shakespeare).
Mete proibite
La notizia dell’interessamento del papa al lavoro di Selden, giunse all’orecchio del re inglese. Giacomo I, che si diceva non fosse particolarmente sveglio, capì invece al volo una cosa: se qualcuno metteva in dubbio il diritto divino, come faceva Selden, da lì a poco si sarebbe potuto mettere in dubbio anche l’esistenza di uno dei messaggeri di Dio. Selden – dal racconto di Brook – ha una personalità ambigua. Fu incarcerato in due occasioni per le sue attività parlamentari contrarie alla corona, finché non teorizzò – per la prima volta – che una parte del mare di fronte al paese è da considerarsi appartenente al re, esattamente tanto quanto i cieli. Come se tutto fosse terra. Questo accadeva verso i primi anni Venti nel 1600; da qualche parte là fuori, cominciava la guerra dei trent’anni e la Cina era vista come la meta proibita da tutti i commercianti. Spagna, Portogallo e Olanda si giocavano i mari, tra bottini e saccheggi, pirateria e guerra vera: bombe dalle navi. Mentre i cannoni dalla costa rispondevano. E sarà proprio il lancio di quel cannone – la sua massima gittata – a stabilire il limite massimo della sovranità sui mari di uno stato.
Altra deriva: Brook osservò che la mappa era stata arricchita di caratteri cinesi e di traduzioni da parte del primo cinese approdato in Inghilterra. A «Michael», nome occidentale di Shen, sono unite le vite dei primi studiosi del cinese in terra britannica. E insieme a loro e insieme alle merci, si muoveva l’interesse per la Cina e per l’Oriente in generale. Un uomo di cultura non era ritenuto davvero tale, all’epoca, se non sapeva almeno una lingua tra persiano, ebraico o cinese. Le persone viaggiavano e si spostavano, erano assolutamente desiderose di scoprire e confrontarsi con «l’altro».
Ma proprio in quel momento, ed ecco forse perché la mappa è stata per così tanto tempo dentro un involucro, nasceva l’orientalismo. Non era un caso: intorno a quel mondo infatti cominciavano a espletarsi le logiche imperialiste che abbiamo conosciuto.
Raccogliendo dettagli sulla mappa Brook capì che alcuni mondi si aprivano e si chiudevano in continuazione. Come la storia di «capitan Cina» – ad esempio – e di una coppia di fratelli che riesce a imbastire un commercio con inglesi e olandesi contemporaneamente, fregando entrambi i partner. All’epoca i rapporti tra Inghilterra e Olanda erano pessimi: gli olandesi pescavano le aringhe nei mari inglesi e il re non aveva uno strumento giuridico per intimare di non farlo. E non poteva dichiarare guerra o compiere gesti che oggi definiremmo unilaterali, per via di una serie di matrimoni che lo incastravano all’impotenza.
Ma se hai un noto avvocato e studioso in carcere e baratti con lui la libertà in cambio di un trattato che dia ragione al re, risolvi alcuni contrattempi. Selden scrisse allora Mare chiuso, opera che si contrapponeva al Mare Libero di Grozio (guarda il caso olandese) e uscì dal carcere. I due non si conobbero, ma pare si leggessero. All’epoca i libri – tomi da cinquecento pagine, come il primo libro di Selden sulle decime – giravano, passavano spesso dalle mani dei re e del papa.
Erano loro due a stabilire i best seller dell’epoca.
Selden quindi accettò un bieco compromesso, sul quale Timothy Brook dimostra un’indulgenza british. L’epoca, dicevamo, metteva a confronto i mercanti inglesi e olandesi, in continuazione. Ogni porto viveva giornate di delirio. A volte si intimava uno stop, altre volte, molto più spesso, si menava duro, fino a uccidere. Il mercato che faceva più gola era la Cina, ma c’erano dei problemi. L’imperatore cinese considerava tutti quanti vivevano fuori dai suoi confini dei barbari. Si comportava più meno in questo modo: mandava i propri incaricati dai re stranieri, per salutarli o annunciare qualsiasi cosa avesse voglia di annunciare. E chiedeva in cambio dei tributi.
Faccendieri e mercanti
Funzionava così: la Cina era una potenza temuta e ammirata. I commercianti volevano quel mercato, ma l’Impero cinese era chiuso, finendo per favorire appetiti, contrabbando, mercato nero e soluzioni drastiche (che arrivarono qualche secolo dopo). Dalla Cina ufficialmente non si portava via niente, né stoffe, né tessuti, né spezie. Niente: capirete meglio a questo punto la guerra dell’oppio. Inglesi e olandesi erano costretti a trovare faccendieri cinesi che millantavano – molto spesso – di avere le capacità e le conoscenze necessarie a creare questo commercio illegale.
E i fratelli Li riuscirono a convincere parecchi inviati dei due paesi europei ad anticipare molti – in alcuni casi moltissimi – soldi per attivare lo scambio economico. I fratelli Li si rivelarono dei truffatori. I cinesi che fregano gli occidentali, guarda un po’.
Infine, si diceva del mare e del suo possesso: la mappa di Selden non chiarisce assolutamente nulla, ma si immerge nella Cina del passato, riscontrando uno spassoso parallelo tra Oriente e Occidente. Mentre in Occidente si combatteva per il commercio, aprendo nuove rotte sviluppando la logica imperialista e cercando di piegare il diritto a quelle esigenze, la Cina si racchiudeva in sé stessa cercando di limare la propria dottrina amministrativa e di stato, curando le modalità con cui accedere alle sfere della politica.
Un doppio binario che ben presto si sarebbe incrociato con risultati nefasti per la Cina. Da lì a poco sarebbe diventata il malato d’Asia. Un secolo e oltre di sofferenze che non a caso, oggi, viene spesso ricordato a giustificare il ritorno di Pechino al suo posto naturale, al centro del mondo.
[Pubblicato su il manifesto]