Film che probabilmente non arriveranno mai nelle sale in rassegna a Shanghai, dove ci si chiede se il box-office cinese supererà quello Usa. Dare una risposta induce a sottolineare i problemi strutturali del cinema e dell’«industria culturale»: non ci si concede tempo per aspettare che i talenti sboccino. Dal nostro inviato a Shanghai, Edoardo Gagliardi. In questi giorni è in corso la 19° edizione dello Shanghai International Film Festival. Come consuetudine centinaia i film presentati e inclusi in numerose sezioni. Un numero così altro di film in parte serve anche per compensare una distribuzione che durante il resto dell’anno è miope al cinema non-commerciale, ed è limitata all’accesso da parte di film stranieri. Così festival come quello di Shanghai, o di Pechino ad aprile, diventano occasioni uniche per il pubblico cinese per vedere film anche importanti che altrimenti non arriverebbero nelle sale. E infatti il pubblico risponde, e si affanna a trovare biglietti che per molte proiezioni vanno esauriti in pochi minuti attraverso le sempre più forti piattaforme di vendita online, che a pochi anni dalla loro nascita coprono oggi circa l’80% di tutti i biglietti venduti.
Ma il festival è anche un momento d’incontro degli addetti ai lavori, richiamati dal mercato cinematografico e numerosi forum e presentazioni. Proprio in uno di questi forum, organizzato dal colosso IT Tencent e dal titolo auto-esplicativo – «Il box-office cinese supererà quello americano, alla Cina cosa manca ancora per diventare il “numero uno”?» – il maestro del cinema pan-cinese Ang Lee ha detto la sua sullo stato dell’industria cinematografica cinese, e su uno dei suoi problemi principali: la sua rapida crescita e la difficoltà per i giovani registi di evolvere.
I giovani vengono infatti troppo presto fagocitati in un’industria che ha bisogno di talenti freschi per sfornare l’ennesimo film commerciale, prima che sviluppino uno stile originale e una vera capacità. In Cina infatti non sono i soldi a mancare, ma idee e talenti, e la ricerca di incassi sicuri crea film spesso tutti uguali tra loro. E anche il pubblico sembra iniziare ad accorgersene. Non a caso forse negli ultimi due mesi, il botteghino ha registrato un calo significativo rispetto all’anno scorso, e a risentirne sono soprattutto le pellicole locali. Cronica mancanza di talenti nuovi e loro difficoltà a imporre uno stile originale, senza parlare poi dell’insufficienza di attori artisticamente e commercialmente validi, sono piaghe che affliggono tutti i produttori cinesi e minacciano lo sviluppo del cinema cinese.
Ma a proposito di giovani registi cinesi, a Shanghai abbiamo visto alcuni film di nuovi registi. Film wenyi (ne abbiamo parlato recentemente), che speriamo di vedere presto distribuiti sugli schermi.
Tra questi, Mountain Cry di Yangzi, che racconta il rapporto tra una giovane muta e un ragazzo che ne ha causato la morte del marito. Rimasta sola con due bambini, la ragazza invece che pretendere un risarcimento, cerca nel ragazzo un supporto che presto diventerà affetto, reciproco. Ma un passato tragico riemerge segnando drammaticamente il loro rapporto. Film realizzato con cura estetica, che sa sfruttare i paesaggi montani ma senza diventare una cartolina. Ha un animo cupo che si riflette come un’ombra ineluttabile su tutti i personaggi.
A Horse With Hope, scritto e diretto da Bai Haibin ha anch’esso un’ambientazione rurale. Siamo tra i monti del Guizhou, tra le minoranze etniche locali, ma al contrario del precedente cerca una riconciliazione con il passato e un’apertura per il futuro. Una giovane ragazza di città va a insegnare come volontaria nella scuola elementare di un villaggio montano, dove un alunno orfano ha un cavallo come unico vero affetto. Quando il nonno è costretto a vendere il cavallo per ripagare un debito, la maestra non può far altro che cercare di ritrovare il cavallo per riscattarlo, per ridare una speranza al bambino disperato. Film semplice che risolve i conflitti piuttosto che nasconderli, è una storia in qualche modo positiva, quasi una favola che lascia fuori campo le contraddizioni della Cina contemporanea che solo a tratti appaiono in controluce.
Pleasure / Love, esordio alla regia di Huang Yao, racconta un amore sezionato in tutte le sue sfumature attraverso uno sdoppiamento in due storie speculari e raccontate da due prospettive diverse, ma legate l’un l’altra da una costruzione temporale circolare. Film dalla lunga gestazione, forse troppo, ma almeno forte di una sceneggiatura intelligente. Sa riprendere i volti e i corpi, cercando una sensualità che infatti gli ha dato qualche problema prima di essere approvato dalla censura.
Piccoli film che ci auguriamo potranno vedere la luce degli schermi, e almeno avere la possibilità di sfidare, seppur ad armi impari, film commerciali e indifferenza del grande pubblico. Ma almeno potranno arricchire l’offerta cinematografica, oltre i limiti temporali dei festival.
*Edoardo Gagliardi, laureato in studi orientali, ha ottenuto un dottorato in cinema cinese contemporaneo presso l’Università di Roma La Sapienza, dopo un periodo di studi alla Peking University. Vive a Pechino da diversi anni dove lavora su progetti e coproduzioni cinematografiche tra Italia e Cina, collaborando in passato con il desk ANICA di Pechino. Nel tempo libero si interessa di musica, una volta anche con il blog Beijing Calling, su queste pagine.
«I Wenchan Ban sono gli uffici di promozione delle industrie culturali che si trovano in molti governi locali cinesi. Il Wenchan Ban di China Files è diretto da Edoardo Gagliardi, e il suo compito è quello di raccontare e promuovere ogni due settimane le nuove storie di cinema, musica e dell’industria culturale cinese, del loro mercato e dei loro protagonisti.» [E.G.]