In Cina e Asia – I cinesi padroni del business sportivo mondiale

In by Gabriele Battaglia

I titoli della rassegna di oggi:

– I cinesi padroni del business sportivo mondiale
– Pechino stringe la morsa sullo yuan
– La Cina interna punta sull’industria dei big data
– I Taobao village e l’innovazione sociale
– Università cinese introduce corsi per perdere peso
– Reduci americani tornano in Vietnam
– Myanmar: 23enne condannato a 6 mesi per aver diffamato Thein Sein su FacebookI cinesi padroni del business sportivo mondiale

Non soltanto calcio. L’offensiva cinese nel campo del business dello sport ha messo a segno un altro punto. La maggioranza di MP&Silva, società titolare dei diritti televisivi della Serie A, della Premier League, dell’Nfl, della Formula 1 e di molte altre manifestazioni sportive è stata acquisita dai cinesi di Beijing Baofeng e dal gruppo Everbright. Il valore dell’operazione per la società fondata da Riccardo Silva si aggira sugli 1,4 miliardi di dollari.

La Cina continua quindi a imporsi nel mondo dello sport professionista. Il colosso Dalian Wanda, proprietario di Infront e nel capitale dell’Atletico Madrid, è da pochi mesi tra i principali sponsor della Fifa; il patron di Alibaba, Jack Ma, promuoverà il mondiale di rugby; gruppi cinesi hanno presentato offerta per la Solar, una delle principali agenzie calcistiche al mondo. 

Pechino stringe la morsa sullo yuan

Un articolo del Wall Street Journal rivela la reticenza dimostrata da Pechino nel lasciare più spazio al mercato nell’assegnazione del tasso di cambio del renminbi. Un impegno preso lo scorso agosto ma, stando a quanto riferito da fonti della People’s Bank of China, disatteso per mantenere la tanto agognata stabilità. Il tasso giornaliero è di nuovo saldamente nelle mani del governo da quando il 4 gennaio la Banca centrale ha smesso di lasciare fluttuare la valuta cinese sulla base di meccanismi di mercato.
Un requisito necessario, dicono gli esperti, per aumentare il potere d’acquisto dei consumatori cinesi e ravvivare l’economia. Ma a cui Pechino ha deciso di rinunciare ufficiosamente davanti alle incertezze rappresentate dalla fuga di capitali innescata dalla volatilità della borsa.

Se infatti un deprezzamento dello yuan alza il costo del debito contratto in dollari dalle società statali, allo stesso tempo uno yuan sopravvalutato non giova all’economia dal momento che rischia di spingere i produttori ad un taglio di prezzi e stipendi. Ennesima prova di come le riforme continuino a rimanere in balia dei vari gruppi di interesse in assenza di una leadership coesa.

La Cina interna punta sull’industria dei big data

Martedì l’arretrata provincia del Guizhou, nota per la produzione di fertilizzanti e liquori, ha accolto dirigenti cinesi e stranieri del mondo high-tech in un incontro presieduto dal premier Li Keqiang. Tra i partecipanti Dell, Foxconn, Tencent, Baidu e Didi, la versione cinese di Uber.

Mentre l’economia provinciale finora si è sostenuta sopratutto grazie al manifatturiero e altri settori tradizionali, localmente si sta assistendo allo sviluppo del comparto dell’informazione tecnologica, ha spiegato Li incoraggiando tutti, compresi i colleghi stranieri, a lavorare insieme per promuovere lo sviluppo del settore.
Nei piani di Pechino, la ricchezza di risorse energetiche, il basso costo del lavoro e una serie di sgravi fiscali dovrebbero incentivare il trasferimento dell’industria high-tech dalle dinamiche aree costiere verso quelle occidentali.

Stando alle nebulose statistiche ufficiali l’industria dei big data del Guizhou vale 200 miliardi di yuan e quest’anno dovrebbe crescere del 25 per cento.

I Taobao village e l’innovazione sociale

Uno studio della UNSW Australia analizza come i Taobao village stiano sollevando la qualità della vita nelle aree più povere del paese. Per Taobao village intendiamo quei villaggi in cui il 10 per cento della popolazione è coinvolta in attività di e-commerce. Secondo l’indagine, l’e-commerce non è solo un canale con cui connettere acquirenti e venditori, ma fornisce uno spazio di mobilitazione e partecipazione collettiva a livello locale.

Nello specifico lo studio rivela che avvalendosi di un sistema di «learning by doing», attraverso il numero delle vendite e i feedback dei clienti i piccoli fornitori sono in grado di sviluppare nuove idee commerciali. Un’esperienza che viene condivisa trasversalmente attraverso tutto l’ecosistema di villaggio riducendo il gap di capacità nella comunità rurale.

Università cinese introduce corsi per perdere peso

La Nanjing Agricoltural University ha lanciato un corso per perdere peso della durata di sei settimane. Alle classi possono accedere solo studenti qualificati, ovvero selezionati sulla base di fattori quali lo stile di vita, i valori della massa grassa, peso e altezza. Le lezioni prevedono anche attività fisica nei parchi e lo studio di come osservare una corretta dieta.

Secondo un recente studio pubblicato sull’European Journal of Preventive Cardiology nel 2014 nelle zone rurali il problema dell’obesità affliggeva ormai un ragazzo su sei e una ragazza su undici. Lo stesso anno la rivista scientifica Lancet classificava la Cina al secondo posto per numero di obesi dopo gli States. Nel 2013 erano 63 milioni i cinesi sovrappeso, più del 9 per cento della popolazione mondiale.

Reduci americani tornano in Vietnam

A quarant’anni dalla guerra del Vietnam sono ormai circa un centinaio i reduci americani ad aver scelto di tornare a vivere nel paese asiatico. Le motivazioni spaziano dall’incapacità di riadattarsi alla vita americana una volta dismessa la divisa, alla volontà di raddrizzare le ingiustizie compiute ai tempi della guerra. Si stima che, dagli anni Novanta ad oggi, siano decine di migliaia i soldati statunitensi ad aver visitato per brevi periodi il Vietnam nel tentativo di esorcizzare i fantasmi del passato.

Disturbi post-traumatici affliggono l’11 per cento dei veterani americani. Non riuscendo a sopportare il ricordo, decine di migliaia hanno deciso di togliersi la vita.


Myanmar: 23enne condannato a 6 mesi per aver diffamato Thein Sein su Facebook

Maung Saung Kha, 23 anni, è uno dei primi attivisti politici ad essere condannato sotto il governo della Lega nazionale per la democrazia di Aung San Suu Kyi: la pena comminata è di sei mesi di detenzione per aver diffamato l’ex presidente Thein Sein su Facebook, in base alla controversa legge sulle telecomunicazioni.

Anche se il 20enne è stato rilasciato martedì – avendo già scontato oltre sei mesi dietro le sbarre dal momento dell’arresto – il caso evidenzia i limiti entro cui si trova ad agire il partito di Suu Kyi. Appena preso il potere il nuovo governo ha liberato decine di prigionieri, tuttavia sono 64 quelli ancora in carcere, 138 quelli in attesa di essere processati per attivismo politico. Gran parte del problema sta nel fatto che la costituzione birmana lascia ancora all’esercito il controllo del ministero degli interni, che sovrintende i tribunali.

[Foto credit: rt.com]