In Cina e Asia – Accuse formali per l’ex braccio destro di Hu Jintao

In by Gabriele Battaglia

I titoli della rassegna di oggi:

– Accuse formali per l’ex braccio destro di Hu Jintao
– Il Global Times nel mirino della Cyberspace Administration of China 
– Genitori in protesta contro riforma quote universitarie in Cina
– Boom di matrimoni (e divorzi) tra honkonghesi e cinesi 
– Ancora sanzioni per il Myanmar, ma con variazioni
– «Il Giustiziere» reintrodurrà la pena di morte nelle FilippineAccuse formali per l’ex braccio destro di Hu Jintao

Ling Jihua, l’ex segretario del presidente in pensione Hu Jintao, è stato formalmente accusato dalla Procura Suprema del Popolo, il massimo organo giudiziario cinese, di avere ricevuto tangenti, di abuso di potere e di ottenimento illegale di segreti di Stato. Ling, sotto indagine per violazioni disciplinari dal dicembre 2014, ed espulso dal partito lo scorso luglio, era caduto in disgrazia dopo il clamoroso incedente stradale del figlio, schiantatosi con una ferrari all’altezza del quartiere di Wudakou, Pechino. Il processo nei suoi confronti dovrebbe tenersi presso il tribunale di Tianjin, anche se non è stata ancora resa nota la data.

La formalizzazione delle accuse per Ling arriva in un momento particolarmente teso per la cerchia dei sodali di Hu Jintao, il cui feudo, la Lega della Gioventù Comunista, è da qualche tempo bersaglio di ripetute picconate da parte dell’anticorruzione e della stampa di Partito.

Il Global Times nel mirino della Cyberspace Administration of China

In un comunicato fatto circolare tra i redattori di alcuni portali cinesi, il Global Times sarebbe stato redarguito per aver messo in risalto «eventi sensibili» tra cui la questione nordcoreana, le dispute nel Mar cinese meridionale, la campagna elettorale di Trump e la scarcerazione dell’ultimo dei reduci del massacro dell’89. Ma ad aver indispettito le autorità è stata soprattutto la pubblicazione di un sondaggio in cui l’85 per cento dei rispondenti si diceva favorevole ad una riunificazione forzosa di Taiwan, che Pechino considera una provincia ribelle. L’indagine è stata ripresa e aspramente criticata sull’ex Formosa in attesa di vedere il suo nuovo governo (filo-indipendentista) prestare giuramento il 20 maggio.

Genitori in protesta contro riforma quote universitarie in Cina

Sabato, migliaia di genitori sono scesi in strada nelle città dello Hubei e del Jiangsu per protestare contro la riforma delle quote d’ingresso alle università locali. Secondo nuove regole – volte a facilitare l’accesso dei figli dei migranti – gli atenei del paese sono tenuti ad ammettere un più alto numero di studenti non locali. Questo secondo molti autoctoni – riunitisi davanti ai palazzi governativi di Nanchino e Wuhan- svantaggerà i loro figli che si troveranno a dover ripiegare su opzioni più lontane da casa. Sulla base del nuovo schema, in totale 14 università dello Hubei, Jiangsu e gradi città come Pechino e Shanghai, dovranno mettere a disposizione 210mila posti per gli studenti provenienti dalle province interne più arretrate. Secondo i demografi, il problema di fondo sta in una modalità di selezione ancora basata sullo hukou, il sistema che uncina i diritti essenziali al luogo di residenza.

Boom di matrimoni (e divorzi) tra honkonghesi e cinesi 

Sempre più donne di hong kong scelgono di sposare un cinese attratte dai «tre alti»: alta istruzione, alta posizione sociale e alto stipendio. Secondo i dati del Census and Statistics Department, nel 2013 il 38 per cento dei matrimoni celebrati nell’ex colonia britannica coinvolgeva una sposa o uno sposo della mainland, contro il 6,1 per cento del 1991. A optare sulla Cina continentale sono sopratutto le donne. Se infatti gli uomini a scegliere una moglie cinese sono calati dai 21.220 del 1991 ai 19.166 del 2013, il numero delle donne convolate a nozze con cinesi è passato 1390 del 1991 al 7444 del 2013. Ma più aumentano i matrimoni più si verificano casi di divorzio, quadruplicati nello stesso arco di tempo.

Ancora sanzioni per il Myanmar, ma con variazioni

Gli Stati Uniti si apprestano a rinnovare le sanzioni al Myanmar, nonostante il recente passaggio delle consegne che vede alla guida del paese la Lega nazionale per la democrazia, il partito della premio Nobel Aung San Suu Kyi. Secondo fonti Reuters, l’International Emergency Economic Powers Act verrà esteso alla sua scadenza (20 maggio) ma con qualche variazione mirata a facilitare gli scambi commerciali tra i due paesi. Un annuncio formale dovrebbe avvenire alla vigilia dell’imminente visita di John Kerry nel Sud-est asiatico (22 maggio).

Il processo di distensione tra Stati Uniti e Myanmar era cominciato dopo le elezioni del 2011, con la nomina al potere di Thein Sein, un ex militare. Stavolta si prevede l’assegnazione di licenze mirate per determinate aziende e la rimozione di alcuni nomi dalla Specially Designated Nationals, la lista nera del Tesoro, in attesa di segni più tangibili di un miglioramento nella nella tutela dei diritti umani. Di recente

«Il Giustiziere» reintrodurrà la pena di morte nelle Filippine

Non solo restrizione sul consumo degli alcolici e coprifuoco per i bambini. Durante una conferenza stampa tenutasi domenica a Davao, suo vecchio feudo, il neoeletto presidente filippino Rodrigo Duterte ha promesso di reintrodurre la pena capitale per impiccagione e di concedere alla polizia licenza di uccidere davanti a esponenti del crimine organizzato o in caso di resistenza all’arresto. Le Filippine sono state il primo paese asiatico ad abolire la pena di morte con la Costituzione del 1987, approvata in seguito alla deposizione del dittatore Ferdinand Marcos. La pena capitale è poi stata reintrodotta per «crimini efferati» e di nuovo sospesa il 24 giugno 2006.

Oltre 1000 criminali sono stati uccisi a Davao mentre Duterte era sindaco. Un primato che nel 2015 gli è valso il titolo di «sindaco degli squadroni della morte» da parte di Human Rights Watch.