Il Parlamento europeo ha votato ad ampia maggioranza una risoluzione che chiede di non riconoscere unilateralmente alla Cina lo status di economia di mercato. Pechino, sostengono gli eurodeputati, non rispetta tutti i requisiti richiesti. Il rischio è che ora si apra uno scontro politico con la Commissione, più malleabile alle richieste cinesi.Il no alla concessione alla Cina dello status di economia di mercato è stato messo nero su bianco. Giovedì 12 maggio, il Parlamento europeo ha votato con ampia maggioranza una risoluzione per esortare la Commissione europea a continuare a tutelare l’industria e l’occupazione della Ue dalle importazioni d’oltre Muraglia, fino a quando la Cina non soddisferà tutti i criteri per essere considerata un’economia di mercato.
Il testo sostenuto da tutti i principali gruppi politici (popolari, socialisti, liberali conservatori e verdi) è stato approvato con 546 sì, 28 no e 77 astenuti. Di fatto chiede all’esecutivo comunitario di bloccare ogni concessione «unilaterale» a Pechino. La vicenda si gioca in punto di diritto sull’interpretazione di quanto previsto dal protocollo di adesione della Repubblica popolare all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) nel 2001. La Cina fa leva sull’automatismo del riconoscimento il prossimo dicembre, alla scadenza del periodo transitorio di 15 anni. Tale attribuzione renderebbe più difficile imporre dazi e misure di difesa commerciale. I critici che invitano alla prudenza sottolineano per contro le carenze cinesi nel soddisfare i cinque criteri richiesti, al momento infatti Pechino ne rispetta soltanto una.
Gli uffici legali della Commissione paventano tuttavia il rischio di azioni cinesi in sede Wto nel caso di mancato riconoscimento. Per il momento Pechino si è limitata a definire «miope» l’atteggiamento dei deputati e ha paventato l’allungarsi di ombre sui rapporti commerciali bilaterali. Gli eurodeputati chiedono invece di affrontare la questione in sede di G7 e G20 e di formulare una proposta capace di trovare un equilibrio tra l’esigenza di rispettare gli obblighi internazionali e la tutela degli interessi europei. Non è comunque un mistero che sull’Europa, oltre alle pressioni cinesi, si facciano sentire quelle di segno opposto degli alleati statunitensi. Da Washington, è emerso nelle scorse settimane durante un dibattito a Roma, arrivano inoltre avvertimenti sulle possibili ripercussioni che l’eventuale riconoscimento avrebbe sulle trattative riguardo il Ttip, l’accordo di libero scambio tra la Ue e gli Stati Uniti.
L’assemblea Ue ha quindi sollecitato la Commissione a continuare a usare la «metodologia non-standard» per mantenere gli attuali livelli di dazi, tenendo in considerazione i timori dell’industria europea. E ha enfatizzato la «necessità imminente» di una riforma generale degli strumenti di difesa commerciale, cui a Palazzo Berlaymont si sta già lavorando, come detto dal commissario Vytenis Andriukaitis. E quasi a dare riprova delle intenzioni, proprio all’indomani del gran rifiuto dell’Europarlamento, l’esecutivo Ue ha annunciato una nuova indagine anti-sussidi su alcuni prodotti siderurgici made in China. La siderurgia, d’altra parte è assieme alla chimica e alla meccanica, alla ceramica e alla carta, l’industria che potrebbe subire i danni peggiori dalla caduta della barriere tariffarie.
In Italia la decisione della plenaria è stata salutata con favore da Confindustria e dal ministro per lo sviluppo economico Carlo Calenda. Si riconosce «l’importanza delle nostre relazioni bilaterali», ha commentato il titolare del Mise, appena entrato in carica, ma «in qualunque caso, gli strumenti di difesa commerciale vanno tenuti in piedi e in piena funzionalità».
L’Italia, ha ricordato l’eurodeputato Antonio Tajani, sarebbe tra i paesi a risentire maggiormente di un’eventuale decisione unilaterale. «Sconterebbe, infatti, il 40 per cento delle ricadute negative sul piano europeo», ha spiegato l’ex vicepresidente della Commissione. Il vertice della Ue ha lanciato una consultazione al riguardo, fornendo anche cifre sul possibile impatto del riconoscimento, di molto inferiori ai 3 milioni di posti di lavoro a rischio stimati da uno studio dell’Economic Policy Institute. Pur non essendo vincolante, la risoluzione ha un forte valore politico. Nel caso la Commissione decida di andare contro la posizione dell’assemblea elettiva, si rischierebbe di creare uno stallo su futuri voti.
Tra l’altro se la Commissione dovesse proporre il riconoscimento nel diritto comunitario dell’attribuzione alla Cina dello status, l’Europarlamento avrebbe diritto di co-decisione assieme al Consiglio. «La Commissione europea, adesso, nel fare la sua proposta al Consiglio europeo non potrà far finta di niente», commenta al riguardo l’eurodeputato dei Cinque Stelle, David Borrelli, tra i primi, assieme ai colleghi socialisti Emanuel Maurel ed Edouard Martin, a frenare sulla concessione.
[Scritto per MF-Milano Finanza]