Tre storie parallele, tre narrazioni in prima persona sugli anni che hanno «arrecato gravi disastri e caos al Partito comunista e al popolo cinese», come furono definiti nella stessa versione ufficiale del 1981. La Rivoluzione culturale vista da chi aveva 10, 15 e 17 anni nel 1966, da chi vi partecipò e ne fu poi travolto.
Il podcast di China Files.
Con lo slogan «bombardare il quartier generale», il Grande Timoniere sguinzagliò un’intera generazione – quella più giovane – a caccia di tutto ciò che sapeva di vecchio e reazionario. Erano le guardie rosse, ragazzi, spesso adolescenti, che recitavano a memoria il suo Libretto Rosso. Fu uno strappo, un movimento quasi religioso, una violenta fuga in avanti non solo rispetto alla tradizionale civiltà confuciana ma anche rispetto alla precedente storia del Partito comunista. I vecchi leader, eroi della Lunga Marcia, si trovarono sul banco degli imputati e subirono sedute di critica e autocritica. I giovani, almeno all’inizio, si trovarono in un grande sabba che vissero come liberazione; poi divenne la guerra di tutti contro tutti.
Oggi, sia il governo cinese, sia i sessantenni che in quei giorni furono giovani, preferiscono non parlarne. Troppe ferite ancora aperte.
Abbiamo incontrato tre testimoni, tre guardie rosse del 1966 che hanno deciso di raccontare. Tre uomini che hanno subito sulla propria pelle i difficili anni successivi a quella primavera gloriosa in cui, come ci ha detto uno di loro, «tutto si poteva discutere e distruggere». Tranne, naturalmente, Mao Zedong.
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