Mentre i media internazionali seguono minuziosamente le provocazioni rimpallate tra Cina e Stati Uniti nel Mar cinese meridionale col timore che un passo falso possa innescare uno scontro a fuoco, a Capitol Hill la guerra è già iniziata e si disputa a colpi di soft power. Lo scorso 16 marzo, un disegno di legge bipartisan, il Countering Information Warfare Act (S.2692), è stato introdotto in Senato con l’intento di difendere la prima potenza mondiale dalla propaganda estera e dalle operazioni di disinformazione lanciate dai governi stranieri. «Inclusi Federazione Russa e Repubblica popolare cinese». Come si legge sul sito del Congresso, l’CIWA riconosce i progressi inanellati dagli altri player globali nel «controllo delle informazioni per raggiungere obiettivi nazionali a scapito di Usa e alleati» . La controffensiva messa in campo prevede lo sviluppo di una «strategia per contrastare la disinformazione e la propaganda estera, e affermare la leadership nello sviluppo di una narrazione strategica basata sui fatti». Obiettivo da raggiungersi sopratutto – chiarisce la bozza- «proteggendo e promuovendo una stampa libera, sana e indipendente in quei paesi vulnerabili alla disinformazione straniera» .
Il provvedimento, sponsorizzato dai senatori Rob Portman (repubblicani) e Chris Murphy (democratici), già sottoposto ad una doppia lettura in Senato, è stato inoltrato al Committee on Foreign Relations, la commissione permanete incaricata, tra le altre cose, di supervisionare e finanziare piani di aiuto all’estero, oltre alla vendita di armi e alla fornitura addestramento ai paesi amici.
La bozza prosegue specificando che, entro e non oltre 180 giorni dall’entrata in vigore della legge, verrà istituito un centro specifico (il Center for Information Analysis and Response) sotto il controllo del Segretario di Stato in coordinamento con il Segretario alla Difesa, il Direttore dell’Intelligence nazionale, e la Broadcasting Board of Governors, l’agenzia federale bipartisan responsabile per tutti i mezzi di comunicazione non militari finanziati dal governo degli Stati Uniti; compresi Radio Liberty e Radio Free Asia, le due emittenti specializzate nella copertura di notizie sulla condizione dei diritti umani nell’area ex sovietica e in Asia, con occhio particolarmente attento a quanto succede nelle regioni autonome cinesi di Tibet e Xinjiang, dove la libertà di movimento dei giornalisti stranieri è piuttosto limitata.
L’iniziativa di Washington ricalca l’istituzione da Parte dell’Unione Europea di una piccola unità all’interno del European External Action Service, mirata a contrastare la vulgata del Cremlino diffusa attraverso media outlet sponsorizzati dal governo russo, quali RT e Sputnik. Fin qui, niente di eclatante. Come spiega su The National Interest Claire Chu, esperta di sicurezza dell’American University, tutto il periodo della Guerra Fredda ha visto l’Occidente e il blocco sovietico spararsi vicendevolmente bordate ideologiche. La vera novità del Countering Information Warfare Act (S.2692) sta nel primo esplicito tentativo di risposta ad una minaccia cinese, in un momento in cui Pechino e Mosca sono sempre più allineati nella difesa dei rispettivi interessi nell’Asia-Pacifico e nel presentarsi al mondo come valide alternative al modello statunitense basato sulla difesa di valori (non per tutti) universali.
Mentre la prima economia del mondo «manca ancora di un meccanismo di coordinamento tra le varie agenzie governative in risposta alle minacce non convenzionali», la Cina si sta ingegnando in ogni modo per colmare il vantaggio tecnologico degli avversari spostando l’attenzione su tutti quei mezzi che, come vuole la strategia militare tradizionale cinese, permettono di sottomettere il nemico senza nemmeno dover arrivare a imbracciare le armi. Dagli attacchi hacker a un utilizzo sempre più sofisticato degli organi d’informazione che ormai operano su scala globale grazie alla presenza di uffici all’estero e alla distribuzione di inserti allegati ai grandi nomi del giornalismo a stelle e strisce, come New York Times e Washington Post.
L’Esercito di Liberazione Popolare (PLA) – spiega Chu – combina la guerra psicologica e quella mediatica alla manipolazione del diritto internazionale (lawfare) non solo per disturbare le capacità dei competitor nel controllo delle informazioni, ma anche per influenzare i processi decisionali dell’audience nazionale e internazionale con lo scopo di raccogliere supporto in favore delle operazioni militari di Pechino. E’ così che nell’ambito della recente riforma dell’esercito, la prima del genere dagli anni ’50, il PLA si è dotato di tre nuove unità tra cui la Strategic Support Force, definita eloquentemente dagli analisti d’oltre Muraglia come un «information warfare service» volto a coniugare funzioni civili e militari.
Arringando l’Atlantic Council, think tank americano con cinquant’anni di storia alle spalle, il senatore Portman ha spiegato che il gigante asiatico «ogni anno spende miliardi di dollari per affinare la propria propaganda estera...l’espansione delle isole artificiali nel Mar Cinese Meridionale [in acque contese con i sodali di Washington] è soltanto l’ultimo esempio di come la disinformazione può essere sfruttata [da Pechino] con successo per cogliere gli Stati Uniti e i loro alleati impreparati».
[Pubblicato in forma ridotta su il manifesto]