Rassegna settimanale dei media asiatici

In by Gabriele Battaglia

La Thailandia che impone i servizi sociali in obitorio per chi guida ubriaco. I terremoti nel Giappone meridionale. Arundhaty Roy che ricorda il paladino dei Dalit indiani B.R. Ambedkar nel 125esimo anniversario dalla nascita. L’ultracapitalismo in salsa hindu. Buone letture per il weekend. Lunedì, 18 aprile: Servizi sociali in obitorio per chi guida ubriaco in Thailandia
La terapia shock è stata introdotta all’inizio del mese di aprile dal gabinetto di governo. Una strategia, ha dichiarato il colonnello di polizia Kriangdej Jantawarong ad Associated Press, «per impaurire chi guida in modo spericolato o sotto effetto di alcolici, mostrando come potrebbero finire. Vuole essere un deterrente, un modo per scoraggiare la gente».

Martedì, 19 aprile: Kumamoto, riflessioni su un disastro «contenuto»
Da giovedì scorso, due forti terremoti e oltre 300 scosse di assestamento hanno colpito il Kyushu, isola maggiore nel sud del Giappone. Il bilancio è al momento di più di quaranta morti con decine di migliaia di persone sfollate. Intanto, continuano le ricerche e i soccorsi. In totale sarebbero più di 2000 le persone «non in salute», ferite o in stato di shock. Ma anche se i danni sono ingenti, anche per un paese come il Giappone, le misure di informazione e prevenzione hanno evitato danni maggiori.

Giovedì, 21 aprile: Il dottore e il santo: in ricordo di B.R. Ambedkar

Giovedì 14 aprile ricorreva il 125esimo anniversario della nascita di B.R. Ambedkar: politico, attivista per i diritti umani, filosofo, giurista e «padre» della Costituzione dell’India indipendente. Ma soprattutto dalit dal pensiero rivoluzionario e strenuo oppositore del sistema castale. Oggi i politici indiani fanno a gara per dire «noi siamo quelli che stanno portando avanti il progetto di Ambedkar», senza che nessuno abbia mai affrontato di petto la questione delle caste. Che per Ambedkar era centrale e animò uno scontro «storico» col Mahatma Gandhi, ripreso da Arundhati Roy in un saggio molto contestato.

Venerdì, 22 aprile: L’importanza di chiamarsi Gurugram: ultracapitalismo in salsa hindu
Gurgaon, a uno sputo da New Delhi, dovrebbe essere una specie di città del futuro, un’oasi di modernità e presunta efficienza dove gli effetti della liberalizzazione del mercato indiano post anni ’90 hanno avuto sfogo in complessi residenziali avveniristici – e, secondo chi scrive, mostruosi – sedi di multinazionali e giganti dell’India Inc., centri commerciali e brodo primordiale dello yuppismo nell’India settentrionale. Gurgaon, a tutti gli effetti, non è una città: è un brand, uno status symbol, una filosofia dell’esistenza proiettata verso l’Eldorado estetico dell’Occidente. Dal 12 aprile scorso, rispondendo a una millantata richiesta «dal basso», il governo dell’Haryana (in cui ricade il territorio di Gurgaon) ne ha cambiato il nome in Gurugram, rifacendosi alla tradizione letteraria – sovente scambiata per Storia – del poema epico Mahabharata. La novità, eufemisticamente, non ha entusiasmato i residenti.