I giovani che hanno più senso di stabilità sono coloro che hanno una visione del matrimonio come «risparmio energetico». Anche se sembra anacronistico, loro ripongono fiducia nell’omiai, il colloquio formale a scopo matrimoniale organizzato dalle famiglie di due potenziali sposi. Ecco cosa c’è dietro frasi come «i miei genitori sono il mio modello» e «l’amore significa insicurezza». Quando una sua coetanea, come lei «single per mancanza di esperienza ed età», le aveva detto che si era sposata, Rika, 25 anni, era rimasta di sasso. Era successo ad una riunione di ex alunne di una scuola femminile.
«È stata mia mamma a presentarmi mio marito», le aveva spiegato l’amica. Lo sposo era infatti un compagno di scuola del fratello. La madre e la suocera, che erano in buoni rapporti, infatti, avevano presentato i rispettivi figli l’una all’altra. È ciò che si chiama un «matrimonio combinato per conoscenze di mamma», una modalità che elimina peraltro ogni possibile rischio di odi tra suocere e nuore.
Da qualche anno, Rika chiede ai suoi genitori di presentarle qualche «bravo ragazzo». Il suo partner ideale è qualcuno che sia cresciuto nello stesso ambiente e che abbia i medesimi valori. Per lei, diplomata in un liceo femminile privato, andrebbe bene un uomo uscito da un liceo maschile privato. Il matrimonio della sua amica sembrava seguire alla perfezione questo copione.
«Una storia alla Cenerentola, da non crederci. Anche io vorrei un matrimonio come il suo».
In Giappone i matrimoni combinati erano all’ordine del giorno, poi a partire dalla seconda metà degli anni ’60, hanno iniziato a diffondersi i matrimoni d’amore. Ma secondo uno studio sui trend della popolazione giapponese svolto dal Centro di ricerca per il welfare e la popolazione, nel 2010 il numero di matrimoni combinati era solo il 5,2 per cento del totale.
Ciononostante, i ventenni di oggi ripongono molte speranze nei colloqui formali a scopo matrimoniale, i cosiddetti omiai. Perché?
Per Yurie, 20 anni, studentessa di un’università femminile, il marito ideale è suo padre, 54 anni. Da quando lei era piccola e nonostante gli impegni lavorativi, lui ha sempre cucinato e fatto il bucato. La assisteva anche nello studio. «Trovare un uomo come lui è quasi impossibile», scherza Yurie.
L’amore fa paura
Da poco si è lasciata con il fidanzato e oggi è single. Non esce mai con uomini anche perché tutte le sue compagne di studio, al dipartimento di sadō (cerimonia del té), sono donne.
«Ho molti interessi. Non ho bisogno del fidanzato. E anche se lo trovassi ora, una volta finita l’università e cambiati i rispettivi ambienti, finiremmo per lasciarci. Preferisco conoscere il mio futuro marito ad un colloquio organizzato dalle famiglie».
Sia i suoi genitori sia alcuni suoi parenti si sono sposati in questo modo e sembrano tutti soddisfatti. D’altra parte, Yurie non ha nessun motivo per rifiutare un matrimonio d’amore. Eppure, «dato che può svanire da un giorno all’altro, l’amore mi fa paura. Per me andrebbe meglio una persona amica, una di cui non sentirei la mancanza in caso non ci fosse. Mi basterebbe una persona con un che di buono».
Yurie non vuole assolutamente divorziare. Di qui il suo atteggiamento di «prevenzione» nei confronti dell’amore.
Nel suo libro Ren’ai shinai wakamonotachi (I giovani che non si innamorano) Megumi Ushikubo ha pubblicato un’inchiesta sull’amore e sul matrimonio tra i ventenni. Alla domanda se l’amore fosse necessario in un matrimonio, il 17,5 per cento dei ventenni maschi ha risposto: «non necessariamente» o «no», contro il 10,5 per cento delle ragazze. Anche Rika la pensa così.
«Quando ti sposi per amore di sicuro rimani delusa. Quando invece ti innamori dopo sposata allora riesci ad affrontare in modo più equilibrato gli aspetti positivi e negativi del matrimonio».
Mika, 25 anni, impiegata in un’azienda di Tokyo, era stata molto chiara con i suoi genitori: «Preparate una lista di uomini che pensate possano andare bene e io ne sceglierò uno. Per me non ci sono problemi: facciamo pure un colloquio formale».
Subito dopo la laurea, si era iscritta a un sito di incontri. Andava a eventi di matchmaking e partecipava a uscite a coppie. Attraverso i social network aveva aumentato le sue conoscenze. Alla fine ha incontrato l’uomo della sua vita, ma è stato un disastro. «In amore, la fatica non premia», dice Mika. «È impossibile sposare l’uomo che si ama di più».
Sicurezza, senza spendere soldi e tempo
Mika ha studiato all’estero e ha iniziato a lavorare nella sua città d’origine. Il suo lavoro non le piace particolarmente. «Un giorno mi andrebbe bene anche fare la casalinga».
Si ricorda ancora di un colloquio di lavoro di gruppo, poco prima della laurea. Il responsabile della selezione scrutava lei e altre studentesse sedute in linea una a fianco all’altra. Il suo sguardo era penetrante, come quello di chi sceglie della merce. «In fondo le donne sono come i fiori, oggetti di abbellimento in una società di uomini». Nello scegliere il suo attuale lavoro, ha preferito la «sicurezza delle condizioni e la tranquillità dei suoi genitori» piuttosto che la qualità del posto in sé. Da quel momento ha iniziato a sentire un forte desiderio di sposarsi.
Nella ricerca dell’uomo della propria vita non è importante solo pensare a come andranno le cose una volta sposati. Per Mika era fondamentale il «risparmio energetico». Lei era contenta che i suoi genitori le presentassero degli uomini che piacevano a loro. Ma la loro percezione era radicalmente diversa. «Allora mio padre mi ha detto di andare a lavorare a Tokyo: lì sarei stata in grado di trovare un marito da sola».
Yūto ha 21 anni, è al terzo anno di università. A lui l’amore fa paura. Si è dichiarato a una ragazza del suo stesso circolo studentesco, ma è stato rifiutato. Da quel momento l’atteggiamento delle donne nei suoi confronti è rapidamente cambiato. Hanno bloccato il suo contatto su Line (servizio di chat popolare in Giappone) e iniziato a evitarlo anche in campus. Le donne non riescono più a fidarsi di lui.
Oggi, Yūto è sempre più un «single per mancanza di esperienza ed età». Pur ricevendo inviti dai suoi amici per uscite a coppie, li rifiuta. Non li ha mai fatti. «Per me, il colloquio matrimoniale è più di una possibilità», spiega. «Quando una persona ti viene presentata dai tuoi genitori o da chi ti conosce molto bene, è più facile fidarsi, innanzitutto perché durante un omiai è difficile mentire. Rispetto a un’uscita a coppie è mille volte meglio».
Secondo una ricerca del 2014, la percentuale di ventenni non sposati che come Yūto non hanno mai avuto un partner è del 41,6 per cento tra gli uomini e del 26,7 per cento tra le donne.
«Il numero di iscrizioni di ventenni che non hanno mai avuto una storia d’amore o che non hanno fiducia in se stessi è in aumento», dice Chisen Maruo di Partner Agent, un’azienda che fornisce servizi di assistenza e informazione matrimoniale. Per questo, i loro addetti cercano di avvicinarsi al cliente e di dare consigli nel modo più delicato possibile. Ad esempio, c’è chi si è visto rifiutare dall’altro sesso, e per questo è caduto in depressione.
In casi come questi, gli impiegati di Partner Agent provano a far capire che quello non è stato un fallimento, ma «un’esperienza di cui fare tesoro».
«Una volta — spiega Maruo — nelle aziende molte donne si dimettevano dopo il matrimonio e venivano sostituite da altre. Trovare una moglie o un marito era quasi un procedimento automatico. Oggi, invece, se non fai tu il primo passo non ti sposi. Inoltre, le tariffe delle agenzie matrimoniali sono troppo alte per i ventenni. Perciò per loro è naturale puntare su strumenti più affidabili e meno dispendiosi in termini di tempo e denaro come gli incontri organizzati dai genitori».
Il sogno di fare tutto tranquillamente a casa propria
Ci sono poi ventenni che aspirano questo genere di incontri per un altro motivo. Takeshi, 21 anni, studente di un’università di Tokyo, spiega che dopo la laurea vorrebbe trovare un lavoro dove è nato, ad Aomori, (nel Nord dello Honshū, l’isola principale del Giappone). Trovare a Tokyo una donna disposta a trasferirsi ad Aomori è difficile. Quindi pensa di ricorrere a un incontro organizzato nella sua città d’origine subito dopo aver trovato un lavoro.
Takeshi frequenta un’università d’élite. I suoi coetanei puntano a entrare nelle più importanti agenzie pubblicitarie del paese o in qualche grande conglomerato industriale. Lui però ha le idee chiare. «Anche se lo stipendio è buono, chi entra in aziende del genere è troppo impegnato sul lavoro. Più di un buono stipendio, io vorrei vivere ai miei ritmi. L’importante è avere denaro per il minimo indispensabile. Per me è meglio stare in campagna, circondati dalla natura, dove anche i bambini possono crescere senza stress».
Anche il padre di Takeshi è tornato al paese di origine per gli stessi motivi. I suoi genitori sono molto affezionati l’uno all’altra. Tanto che suo padre ha sul display del cellulare una foto della madre di Takeshi.
«I miei genitori sono un modello per me», dice il giovane. «Anche se un po’ mi vergogno a dirlo».
Il suo obiettivo è di sposarsi entro i ventisei anni ed essere felice con sua moglie, magari anche con dei figli. Andare a fare delle gite in auto con la macchina regalatagli dal padre. Il sogno si alimenta di giorno in giorno. Per se stesso, Takeshi non vuole qualcosa di strabiliante, da far invidia agli altri. Meglio una felicità ordinaria. Oggi, a vent’anni, con un futuro incerto di fronte a sé, per lui l’omiai è già un sogno.
[Tradotto per Internazionale]