Qualche giorno fa The Hoot, che monitora lo stato dei media in tutto il subcontinente, ha pubblicato un rapporto sullo stato della libertà d’espressione del paese. Il documento riguarda esclusivamente i primi tre mesi del 2016 ed evidenza come in India sia in atto non solo un aumento della censura, ma un attacco a tutto campo contro la libertà d’espressione dei cittadini e dei giornalisti, specie nelle zone più «problematiche» del territorio indiano.Le polemiche e gli episodi preoccupanti di limitazione della libertà d’espressione, di minacce, violenze, denunce ai danni di cittadini indiani sono all’ordine del giorno. Trattandosi di un paese-continente, non deve stupire.
Diverso è l’impatto quando il tutto viene messo in fila e ordinato, registrato, cronologizzato, dando un’immagine d’insieme di un paese che sta vivendo, suo malgrado, una stagione di abbruttimento culturale e sociale, attraversato da tensioni che l’esecutivo di Modi di certo fatica a gestire; probabilmente, in alcuni casi, le incentiva.
I dati salienti del rapporto di The Hoot – che, precisa l’autrice, rappresenta una stima fatta per difetto, di fronte all’impossibilità di seguire le vicende, anche locali, di tutto il paese – indicano un aumento improvviso delle denunce per sedizione, in linea col revival del nazionalismo a tinte hindu abbracciato dal governo del Bharatiya Janata Party (Bjp): se nel 2014 e nel 2015 nessuno era stato mai denunciato ai sensi della legge d’epoca coloniale, ora siamo già a quota 11 casi (riguardanti 19 persone), in gran parte legate ai movimenti di protesta universitari che interessano i campus della Jawaharlal Nehru University (Jnu), a New Delhi, e della Hyderabad Central University (Hcu), nella capitale dello stato del Telangana.
Altro punto caldo del rapporto riguarda il trattamento riservato ai giornalisti. Nei primi tre mesi del 2016 si sono già registrati un omicidio, due arresti e 14 aggressioni a personale dei media colpevole, semplicemente, di star facendo il proprio lavoro.
In particolare, l’area del Chhattisgarh pare essere terreno fertile per episodi di violenza efferata contro la stampa indiana, nazionale o locale. Qualche tempo fa avevamo raccontato le condizioni nelle quali opera chi si occupa delle violenze subìte dai tribali nel distretto di Bastar, dove polizia e forze paramilitari ricorrono sistematicamente a minacce anche fisiche nel tentativo di ostacolare inchieste che potrebbero metterli in cattiva luce.
Un capitolo a parte, infine, merita le denunce per diffamazione provenienti dalla permalosissima classe politica nazionale: al marzo 2016 sono già 21 (una ogni quattro giorni), sette indirizzate ai media e 14 tra politici.
Nel computo – che ripetiamo, è presumibilmente parziale e arrotondato per difetto, senza tener conto dell’universo dei media locali in lingua locale – non figura l’ultimo episodio che interessa direttamente il primo ministro Narendra Modi.
Raghav Chopra, giornalista dell’emittente Cnn-Ibn, a margine della visita di Modi in Arabia Saudita aveva twittato una foto evidentemente modificata che raffigurava il primo ministro indiano inchinarsi per toccare i piedi del re saudita Salman, accompagnata dal testo: «Qualcuno può dirmi cosa sta facendo Modi ji in Arabia Saudita? Non può di certo essere ciò che sembra».
A stretto giro il Bjp ha fatto un esposto ufficiale al ministero dell’informazione accusando Chopra di «ingannare il pubblico con diffusione di immagini finte».
Agli osservatori delle cose indiane non sarà sfuggita l’ironia del tutto, considerando che lo stesso Bjp ha una certa tradizione di diffusione di foto modificate ad uso propagandistico.
[Scritto per Eastonline]