Per alleggerire le banche dalla mole di crediti problematici, la Cina studia uno scambio tra non performing loan e azioni delle aziende debitrici. Lo schema riguarderà soltanto gli istituti maggiori ed esclude le imprese zombie. Ma le banche sono tiepide sul progetto che dovrebbe liberare credito. Vale almeno mille miliardi di yuan il programma pilota con cui Pechino intende liberare le banche cinesi dal macigno dei crediti in sofferenza. La cifra (equivalente a circa 135 miliardi di euro) secondo quanto trapelato in questi giorni potrebbe essere smaltita in circa tre anni, stando ai calcoli di un alto dirigente della China Development Bank citato dal settimanale economico Caixin, che dedica la storia di copertina allo schema studiato dal governo e dalle autorità di vigilanza.
L’intelaiatura del progetto messo a punto da Pechino è quella emersa nelle scorse settimane: uno scambio tra non performing loan e azioni delle imprese debitrici. Secondo le indiscrezioni, il programma riguarderà soltanto un ristretto numero di istituti maggiori e non le banche più piccole, la cui esposizione a titoli eccessivamente volatili potrebbe creare ulteriori rischi.
Anche la platea dei debitori dovrebbe comunque essere ristretta a società statali i cui business sono sostenibili e che non sono attive in settori che presentano eccessi di capacità produttiva. Al contrario, saranno tagliate fuori le cosiddette aziende zombie, ossia quelle attività produttive inefficienti che si reggono sui sussidi e sul sostegno governativo, e di cui ora Pechino vuole avviare una massiccia razionalizzazione. Ulteriori dettagli non sono ancora disponibili, e per questo i manager del settore bancario sono ancora «tiepidi» sull’operazione caldeggiata dal premier Li Keqiang.
Durante i lavori del Boao Forum della scorsa settimana non hanno mancato di far presenti i propri timori al riguardo. In conferenza stampa il vice presidente di Citic, Sun Deshun, ha chiarito che qualsiasi swap obbligatorio dovrebbe prevedere anche un tetto al volume dell’operazione. Mentre il presidente di Bank of China, Tian Guoli, ha fatto presente che lo schema dovrà essere valutato con attenzione perché le condizioni sono diverse rispetto alla fine degli anni Novanta, quando Pechino dovette intervenire per la prima volta per alleviare la mole di sofferenze e crediti problematici in bilancio agli istituti, oggi pari a 4.000 miliardi di yuan.
L’ultima riunione governativa sul tema (della quale si ha notizia) si è tenuta lo scorso 25 marzo. Oltre ai rappresentanti dell’esecutivo ha coinvolto il ministero delle Finanze, la Peoples’ Bank of China e la Commissione di vigilanza sulla banche, il cui presidente, Shang Fulin, aveva chiarito tempo prima quali fossero alcuni dei tecnicismi da chiarire e i possibili ostacoli di natura regolamentare. Su tutti, i limiti alle partecipazioni bancarie nelle imprese non finanziarie, poste a tutela dei i depositi.
Intanto la Vigilanza ha chiesto alle banche maggiore cautela sui rischi assunti dalle proprie filiali all’estero. Un’esortazione dovuta ai recenti casi che hanno visto coinvolti in presunti episodi di riciclaggio due dei principali istituti del Paese, Bank of China e Industrial & Commercial Bank of China, rispettivamente in Italia e Spagna.
[Scritto per MF-Milano Finanza]