Come era prevedibile, la revisione di circa venti testi scolastici di storia, geografia e società, da parte del governo giapponese ha fatto arrabbiare Cina e Corea del Sud. Ma neanche in Giappone l’hanno presa bene. Da sud a nord dell’arcipelago si sono sollevate proteste contro i nuovi libri di testo che semplificano la storia moderna e contemporanea del paese arcipelago.
Un’ennesima riprova del fatto che la storia non può essere ridotta a una visione unica, senza lasciare qualcuno escluso.
Il governo provinciale di Okinawa e le associazioni di una delle minoranze etniche giapponesi, gli Ainu dello Hokkaido, ai due estremi del paese arcipelago, hanno protestato contro la revisione dei libri di testo scolastici in uso a partire dal 2017 annunciata qualche settimana fa dal governo giapponese.
Partiamo da Okinawa, la provincia più a sud de Giappone, erede del regno delle Ryukyu, incorporato nel Giappone nel 1879.
Il governatore della provincia, Takeshi Onaga, politico anti-basi americane sul territorio della provincia e dunque non nuovo alle polemiche con Tokyo, ha chiesto che fosse rivista una sezione di un libro di testo che sarà usato per i corsi di società moderna alle superiori, in cui si legge che la provincia è economicamente troppo dipendente dalle basi americane e dai trasferimenti monetari di Tokyo.
«Ci sono diversi aspetti della situazione attuale di Okinawa che non sono adeguatamente compresi», ha spiegato Onaga, che ha aggiunto: «Dobbiamo continuare a difendere la nostra posizione». Anche perché «Quanto scritto dal libro differisce dalla visione del governo provinciale e nazionale», ha spiegato un altro funzionario del governo della provincia alla stampa.
Le proteste per i libri di storia arrivano peraltro a pochi giorni da un nuovo caso di stupro di un soldato americano ai danni di una giapponese e di un non accordo tra Okinawa e Tokyo sullo spostamento di una base militare americana da Futenma, poco distante dalla capitale provinciale Naha, a Nago, più a nord sulla costa occidentale dell’isola.
Tra le voci di protesta si è sollevata anche quella degli Ainu, minoranza etnica dell’isola settentrionale di Hokkaido.
In un’intervista con Julian Ryall del South China Morning Post, Yupo Abe vice presidente dell’Associazione degli Ainu dello Hokkaido, ha denunciato il tentativo del governo di Tokyo di «nascondere» la verità storica della «conquista» e della «repressione» della cultura Ainu da parte del governo giapponese alla fine del 19esimo secolo.
In alcuni testi scolastici che saranno diffusi sui banchi di scuola a partire dal prossimo anno, le politiche dell’epoca vengono descritte in senso di «protezione» degli Ainu, dipinto come un popolo di bucolici primitivi «cacciatori e raccoglitori», e di «concessione» di terre coltivabili.
Tutto questo, denunciano gli Ainu, nasconde in realtà la violenza strutturale dell’assimilazione dei loro avi nel Giappone moderno — la cosiddetta nihonka, letteralmente «trasformazione in Giappone», fatta espropri forzati di terreni e dell’imposizione della cultura centralista a danno dell’economia locale, fondata sulla pesca, della lingua e delle tradizioni locali.
Fino alla seconda metà del 19esimo secolo gli Ainu — documentati per il pubblico italiano da Fosco Maraini alla fine degli anni ’30 — costituivano la maggioranza degli abitanti della grande isola settentrionale del paese arcipelago e intrattenevano commerci con il Giappone e la Russia. Insediamenti Ainu esistevano nelle isole di Sakhalin e nelle Kurili (oggi territorio russo) e sono probabilmente esistiti — le prove storiche sono esigue — nel Nordest del Giappone.
Solo nel 2008 Tokyo ha riconosciuto loro lo status di «popolazione indigena» sancito dalle Nazioni Unite, dopo decenni di proteste da parte degli Ainu contro il discorso ufficiale sul Giappone come «nazione omogenea».
Per gli Ainu, oggi ridotti a poche decine di migliaia di individui in Hokkaido e a poche migliaia nel resto del paese, la questione è particolarmente sentita. Potrebbe essere infatti un colpo fatale all’eredità storica di una popolazione inghiottita, come scriveva tempo fa il New York Times, dalla progresso giapponese degli ultimi due secoli.
[Scritto per East online]